Protocollo Viecca, così il Sacco combatte il virus nei polmoni

Risultati "impressionanti" sui microtrombi che bloccano l’ossigenazione del sangue

Uno degli striscioni lasciati fuori dall’ospedale Sacco simbolo della lotta al coronavirus

Uno degli striscioni lasciati fuori dall’ospedale Sacco simbolo della lotta al coronavirus

Milano, 25 giugno 2020 - Lo hanno adottato anche nel Perù massacrato dal Covid, il protocollo messo a punto da cardiologi e pneumologi all’ospedale Sacco nel pieno dell’emergenza lombarda. Non un farmaco, ma una combinazione di farmaci per trattare i malati gravi di polmonite da coronavirus - gravi abbastanza da finire in terapia intensiva - nei reparti di Pneumologia, in terapia subintensiva respiratoria dove si utilizzano metodi di ventilazione meno invasivi, come la mascherina e il casco CPAP. Si chiama "Protocollo Viecca", da Maurizio, direttore della Cardiologia dell’ospedale di Roserio e del Dipartimento Alte Specialità dell’Asst Fatebenefratelli-Sacco, e dal protocollo che il cardiologo ha creato vent’anni fa per gestire le microtrombosi negli infartuati. Un meccanismo simile a quello osservato nelle persone con la polmonite da Covid "che in una, due, tre ore passavano dal casco all’essere intubate", e confermato da uno studio su 2.500 angiotac dei radiologi dell’ospedale di Seriate e dalle autopsie dell’Anatomia patologica del Sacco: "trombosi dei vasi capillari polmonari".

In sostanza il virus danneggia la parete dei capillari intorno agli alveoli, e per ripararla l’organismo forma accumuli di piastrine ("trombi bianchi") che però di fatto bloccano i globuli rossi nei microvasi e di conseguenza l’ossigenazione del sangue. "E né il casco né il respiratore possono farci nulla", chiarisce il cardiologo. Il protocollo si basa sulla combinazione di tre antiaggreganti (tirofiban, aspirina e clopidogrel), un anticoagulante (l’eparina) e il cortisone come antinfiammatorio, e necessita "un monitoraggio stretto", chiarisce Pierachille Santus, primario della Pneumologia del Sacco che ha curato molti pazienti abbastanza critici da esser papabili per l’intubazione "con un tasso di mortalità non superiore, se non inferiore, a quello delle terapie intensive". Il Protocollo Viecca tra marzo e aprile è stato adottato per cinque pazienti con insufficienza respiratoria grave e D-dimero (un parametro per diagnosticare la trombosi) alto, con l’autorizzazione del Comitato etico del Sacco perché i farmaci erano somministrati off-label (per patologie diverse da quelle per cui sono autorizzati) in “uso compassionevole”, come gran parte delle terapie utilizzate durante la pandemia. I risultati preliminari, pubblicati dalla rivista scientifica Pharmacological Research , sono stati "impressionanti - chiarisce il professor Santus -, con un miglioramento dei parametri respiratori già a 24 ore, e poi a 48, a tre e a sette giorni che ha consentito di ridurre il supporto ventilatorio", e "un esito migliore rispetto a pazienti della stessa gravità, senza effetti collaterali rilevanti". Il Sacco ha messo a punto anche un protocollo post-Covid, a base d’aspirina associata a un anticoagulante, per quel 30% di ex malati che hanno problemi respiratori dopo la fase acuta e "necessitano di riabilitazione ospedaliera e domiciliare".

Un’altra delle urgenze di adesso, negli ospedali lombardi che non hanno ancora finito di correre: "Stiamo riaprendo gli ambulatori, a luglio e agosto contiamo di mantenere la quota di prestazioni che garantivamo l’anno scorso" anche con le nuove misure di sicurezza, spiega il direttore dell’Asst Fatebene-Sacco Alessandro Visconti. Bisogna approfittare della tregua pandemica per smaltire l’accumulo di visite e ricoveri rimandati nei mesi in cui la sanità è stata monopolizzata dal coronavirus, come 21 tra reparti e piani e 1.250 professionisti al giorno al Sacco, che ha avuto 311 pazienti Corona in terapia intensiva, ne ha dimessi 1.421 e 1.400 presi in carico nel post, mentre processava oltre 40 mila tamponi. «I nostri ospedali sono riusciti anche a fare ricerca – sottolinea l’assessore al Welfare Giulio Gallera –: quando lo tsunami ha investito la Lombardia non sapevamo quasi nulla del virus, dalla Cina non era arrivato praticamente nulla: era come guidare a fari spenti in una notte buia". E ribadisce che i malati di febbraio e marzo "non potevano essere curati altro che in ospedale, anche perché non esistevano protocolli da applicare sul territorio. Eppure i nostri medici non si sono arresi al respiratore come unica soluzione, e hanno elaborato terapie adottate nel resto del mondo". Come il plasma del San Matteo di Pavia e questo protocollo del Sacco, che apre un’altra strada per ridurre il ricorso all’intubazione: "Adesso abbiamo due armi - chiarisce Viecca -. Nessuno può sapere cosa accadrà in autunno, ma abbiamo imparato a nuotare". 

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