Coronavirus e ricoveri: ospedali in affanno. "Posti quasi esauriti in terapia intensiva"

Da Cremona a Lodi cresce l’allerta per i contagi. L’infettivologo Galli: sistema al limite della tenuta. E l’Oms alza il tiro sulla situazione a livello globale: "Minaccia alta"

Coronavirus (Ansa)

Coronavirus (Ansa)

Milano, 29 febbraio 2020 - «Non è una situazione facile e scordatevi che si possa risolvere rapidamente». È chiarissimo Massimo Galli, invettivologo dell’università Statale e dell’ospedale Sacco di Milano, sull’emergenza coronavirus che ieri, in base al bollettino della Protezione civile, era arrivata a 821 contagiati (230 in più in un giorno solo). E a fronte di 46 guariti, altri quattro decessi (due uomini e due donne, tra 70 e 80 anni, lombardi provenienti dalla «zona rossa» del Lodigiano), per un totale di 21 morti in una settimana con un tampone positivo al Covid19.

Ma i contagiati si pesano: i 149 del Veneto sono concentrati tra le province di Padova e Venezia, i 143 dell’Emilia-Romagna nel Piacentino. E in Lombardia, che conta 17 dei 21 decessi, a fine giornata la Regione fornirà un numero diverso dai 474 della Protezione civile, parlando di 531 positivi, di cui 235 in ospedale e 85 in terapia intensiva. I pazienti gravi sono lievitati d’una trentina in poche ore, e gli ospedali delle province più colpite, chiarisce l’assessore al Welfare Giulio Gallera, «sono in affanno»: quel che mercoledì notte è successo a Cremona (quattro pazienti trasferiti alle terapie intensive di Milano) si è ripetuto giovedì notte a Lodi, che ricoverava 50 malati di coronavirus di cui 17 da terapia intensiva, e 15 li ha dovuti mandare al Niguarda. Il sistema lombardo (che ha 900 letti di terapia intensiva, di cui 105 già convertiti ad «aree corona» in 15 ospedali) ha tamponato l’emergenza, «ma è al limite della tenuta», ha chiarito l’infettivologo Galli, convocato insieme a un panel di esperti a spiegare le ragioni «scientifiche» della richiesta al Governo della Regione (diversa da quella del Veneto, che lunedì vuole riaprire le scuole), di prorogare per una settimana le «misure impopolari» che scadono domenica.

Per rallentare la crescita del contagio in modo che il sistema sanitario riesca a gestirla. Perché l’11% dei contagiati è un operatore sanitario, e «se entrano in crisi gli ospedali – chiariscono gli esperti – sarà un problema curare tutti i pazienti», anche quelli che non smettono di avere infarti e incidenti con l’epidemia. Il pressing degli scienziati, contrario a quello fortissimo delle categorie produttive per «riaprire», si fonda sui numeri della Lombardia, che con 4.435 tamponi eseguiti (75% negativi, 11% positivi, 14% in processazione) dispone, chiarisce il virologo dell’università di Pavia Fausto Baldanti, «della mappatura più precisa in Occidente e forse nel mondo di questa epidemia». Se il Covid-19 per il 90% dei pazienti è «facilmente risolvibile» (ma il 40% ha bisogno d’esser curato in ospedale), il 10% va in terapia intensiva. E questo 10% sta già facendo «soffrire la rianimazione lombarda» quando la distribuzione dei contagiati è circoscritta a quattro province (nel Lodigiano 182, il 34%; nel Cremonese 123, il 23%; 103 nella bassa Val Seriana, provincia di Bergamo, pari al 19%, e 49, il 9%, in un’area del Pavese confinante col Basso Lodigiano), dove abita il 4% della popolazione lombarda, senza toccare le grandi aree urbane se non con casi sparsi che Galli, citando un collega piemontese, definisce «metastatizzazioni». «Questa malattia non è la peste bubbonica ma non è nemmeno una banale influenza», chiarisce Antonio Pesenti, direttore dell’Anestesia e rianimazione del Policlinico di Milano. E quando degenera in polmonite grave «possiamo solo supportare le funzioni vitali, non esiste una terapia specifica né un vaccino». Ma intanto l’epidemia globale di inizia a fare veramente paura dato che l’Organizzazione mondiale della sanità ha alzato l’allerta sulla inaccia, portandola al livello più grave di «molto alta». Il direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus ha ammesso che l’aumento di casi nei Paesi colpiti è motivo di enorme preoccupazione, dopo aver già parlato ieri di «potenziale pandemico» del Covid-19. 

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