Coronavirus, ospedale da campo alla Fiera: ora è scontro

Il piano per Milano, il governatore Fontana all’attacco: "La Protezione civile non garantisce più medici, infermieri e respiratori"

Attilio Fontana

Attilio Fontana

Milano, 14 marzo 2020 - Il prototipo è pronto, il luogo individuato in 22mila metri quadrati nei pressi del MiCo, centro congressi di Fieramilanocity (la vecchia Campionaria), con Fondazione Fiera pronta a farsi carico almeno in parte della costruzione dei prefabbricati da attrezzare con 500 posti di terapia intensiva «nel giro di otto giorni», dice l’assessore lombardo al Welfare Giulio Gallera. Un ospedale da campo modello Wuhan a Milano, per dar fiato alla corsa contro il tempo della Lombardia, che contava 9.820 contagiati dal Coronavirus ieri, 890 morti con tampone positivo e 5.085 malati di Covid19 ricoverati in ospedale, di cui 650 in terapia intensiva. Ma dalla Protezione civile nazionale ieri è arrivato uno stop, ha spiegato il governatore Attilio Fontana: «La Protezione civile non è assolutamente in condizione di rispettare quello che ci aveva promesso». E cioè tra 1.200 e 1.500 infermieri, almeno 500 medici e altrettanti respiratori. Il Dipartimento della Protezione civile in seguito ha replicato a mezzo Ansa di essere «in grado di realizzare l’ospedale nella Fiera di Milano, ma al momento non sono disponibili sul mercato le attrezzature sanitarie necessarie. L’ipotesi sul tavolo, condivisa da Regione Lombardia, è dunque potenziare i posti di terapia intensiva nei vari ospedali lombardi». 

Fontana non molla l’idea dell’ospedale-lampo: «Ci stiamo guardando intorno sul mercato internazionale per capire se riusciamo a trovare questi letti di rianimazione, ma in questo momento è estremamente difficile». Ieri il presidente lombardo ha scritto al Governo tedesco, prendendo in parola la disponibilità manifestata dalla cancelliera Angela Merkel: la Lombardia, si legge in una lettera indirizzata al ministro della Sanità Jens Spahn e all’ambasciatore della Bundesrepublik in Italia Viktor Elbling, «ha urgente bisogno di ogni tipo di strumentazione necessaria per l’attivazione di reparti di terapie intensive, oltre che di mascherine, camici, occhiali e visiere» ed «è pronta fin da ora ad acquistare questo materiale presso i produttori e i rivenditori tedeschi. Perché ciò avvenga è necessario che il Governo tedesco conceda le autorizzazioni legate alle licenze di esportazione previste in Germania».

«I respiratori che arrivano a noi peraltro potrebbero servire fra qualche mese alla Francia, alla Germania o ad altri; il nostro modulo, finita l’emergenza in Lombardia, si potrebbe trasferire così com’è», ragiona l’assessore Gallera, senza nascondere il suo «rammarico»: «Capiamo le difficoltà ma ci hanno fatto lavorare per una settimana e oggi ci dicono che non hanno respiratori a sufficienza, non hanno monitor e non hanno il personale... Noi comunque faremo di tutto per resistere». Il piano B prevede di usare aree vuote degli ospedali – l’assessore cita un building al San Matteo di Pavia, alcune palazzine dismesse del Niguarda e alcuni piani del San Carlo di Milano – per dar sfogo al recupero quotidiano di posti di terapia intensiva che dal 20 febbraio ha esteso da 724 a 1090 la dotazione lombarda, aprendo letti nelle aree risveglio delle sale operatorie e «in ogni interstizio in cui si possa attaccare l’ossigeno». Ieri erano 750 i posti di cure intensive destinati ai «pazienti Corona», cento più dei 650 che erano attaccati ai respiratori, considerando solo quelli per i quali era arrivato l’esito del tampone. 

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