Coronavirus, perché non vogliono l’ospedale a Milano?

La città è pronta, in otto giorni 500 posti di terapia intensiva alla vecchia Fiera. I soldi ci sono, ma la Protezione civile si oppone

Coronavirus

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Milano, 15 marzo 2020 - La Lombardia «non ha abbandonato l’ipotesi» di aprire un ospedale modello Wuhan alla Fiera di Milano, assicura il governatore Attilio Fontana: «Ora incontriamo il nuovo commissario Domenico Arcuri, proveremo a cercare le attrezzature sul mercato internazionale. È difficile perché si stanno muovendo tutti, tedeschi, francesi, spagnoli, ma siamo ottimisti. È chiaro però che la struttura va realizzata a breve». Oltre alla Fiera, che s’è offerta di pagare i prefabbricati, c’è una fila di grandi aziende pronte a mettere i soldi per realizzare il progetto dell’ospedale da campo da 500 posti di terapia intensiva per i malati di Covid–19 che venerdì, dopo una settimana di lavoro e con il prototipo già pronto, s’è arenato sul non possumus della Protezione civile nazionale a reperire il personale specializzato e i respiratori necessari a soccorrere la vedetta lombarda sull’emergenza Coronavirus, 11.685 contagiati a ieri su 21.157 in Italia.  Numeri sempre diversi da quelli di Roma: la Protezione civile dice 9.059 positivi perché sottrae i dimessi dall’ospedale (1.660) e i 966 morti (76 in un giorno).

Ma negli ospedali lombardi sono ricoverati 5.630 conclamati di cui 732 in terapia intensiva, che riempiono l’80% degli 898 posti «Corona» scavati tirando a 1.100 un polmone che era di 724 respiratori prima dell’emergenza, e ha curato sinora 1.064 malati di Covid-19: il 10% dimessi (149), il 10% morti (145), gli altri restano in cure intensive. La centrale Cross ne ha trasferiti 40 in altre regioni: «All’inizio ci chiedevano solo i non-Covid», ricorda l’assessore regionale al Welfare Giulio Gallera, brandendo i similpanni da polvere con due buchi per le orecchie che costituivano la stragrande maggioranza della prima fornitura settimanale da 250mila mascherine mandata dalla Protezione civile nazionale agli ospedali lombardi. Pannicelli caldi che gli infermieri hanno rifiutato d’indossare, «li abbiamo ritirati, vanno bene per un volontario che consegna la spesa a un anziano, non certo per proteggere il personale in prima linea negli ospedali». L’assessore è scottato, il governatore cerca di allentare la tensione: «Nessuna polemica». L’assessore al Bilancio Davide Caparini ringrazia il ministro della Salute Roberto Speranza, che con una circolare ha sbloccato la produzione autoctona di mascherine chirurgiche nelle ditte che trattano il tessuto-non-tessuto: la Lombardia ne ha individuate già 5 e arruolato il Politecnico di Milano per supporto e controllo qualità, l’obiettivo è produrne «300mila al giorno» e rifornire, oltre agli ospedali, anche i lombardi «che hanno il diritto di proteggersi». 

E magari le aziende, che chiedono alla Regione i «kit di sicurezza» gratuiti annunciati venerdì a ore dal premier Giuseppe Conte: «Appena ci arriveranno li distribuiremo in un secondo», giura l’assessore lombardo alla Protezione civile Pietro Foroni. Ma non c’è tempo d’aspettare Roma, è già scattato il ghe pensi mi: banche e multinazionali in «gara di solidarietà» hanno elenchi di dispositivi di protezione e macchinari per la rianimazione cui dar la caccia sul mercato globale; si preparano i padiglioni vuoti degli ospedali, sperando che Roma mandi almeno il personale specializzato per aprire «90/130» letti di cure intensive. «Quando l’onda sarà passata ci metteremo a disposizione del resto del Paese, anche se mi auguro che non ne abbia bisogno», assicura Gallera, e Caparini conferma: «Saremo i primi a uscire dall’emergenza, ma i primi ad affrontarla siamo noi».  

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