
Lo studio del Policlinico sui dati delle settimane di trincea nelle terapie intensive
Milano, 24 aprile 2020 - Ieri c’erano 790 “pazienti Corona” ricoverati in terapia intensiva in Lombardia; erano 872 contando anche i malati di polmonite non ancora conclamati dal tampone, ma sono comunque numeri lontani dai 1.381 che si contavano il tre aprile, venti giorni fa. Sulla storia così recente dei primi gravissimi che nel marzo nero dell’epidemia hanno riempito le sale operatorie degli ospedali lombardi trasformate in terapie intensive un anestesista del Policlinico di Milano ha realizzato la prima vera indagine pubblicata su una rivista scientifica, Jama . Lo studio , coordinato da Giacomo Grasselli, responsabile dell’Anestesia e terapia intensiva adulti della Ca’ Granda diretta da Antonio Pesenti (che guida anche il coordinamento degli intensivisti lombardi in emergenza coronavirus), ha analizzato 1.600 ricoveri nelle terapie intensive lombarde nelle prime settimane dell’epidemia, tracciando un identikit dei malati gravissimi di Covid. Che sarebbero, in base a questi primi dati, una minoranza molto piccola: per circa l’80% dei positivi il virus si manifesta con sintomi lievi, come febbre e tosse secca, che non richiedono cure particolari.
Un 20% sviluppa sintomi respiratori più seri che richiedono il ricovero in ospedale, e una percentuale tra il 5 e il 15% deve andare in terapia intensiva. Ma di questi ultimi l’80% ha bisogno del supporto respiratorio più invasivo, cioè di essere intubato per “mettere a riposo” i polmoni e dare all’organismo l’occasione di liberarsi da solo del virus. Una lotta impari: tra i malati più gravi la mortalità è stata del 49%. Uno su due non è sopravvissuto. In base ai dati raccolti dai ricercatori del Policlinico, quasi 7 su dieci avevano almeno un problema di salute prima di contrarre il virus. Il 49% era iperteso, uno su 5 (il 21%) aveva complicanze cardiovascolari, mentre solo il 4% aveva patologie croniche dell’apparato respiratorio.
Circa 1.280 dei primi malati in terapia intensiva hanno dovuto essere intubati; solo al 20% sono bastati supporti come la mascherina con l’ossigeno o il casco C-PAP. Il lavoro del Policlinico, spiega il professor Grasselli, "è importante perché ci permette di avere un quadro chiaro della situazione delle terapie intensive lombarde durante le prime settimane di diffusione della pandemia". Uno scenario di trincea, tanto che, avverte lo scienziato, pur essendo quello del Policlinico lo studio più completo sinora "i dati devono considerarsi preliminari e vanno interpretati con cautela, sia perché non erano disponibili tutti quelli relativi a ciascun paziente, sia perché sono stati valutati i ricoveri in terapia intensiva e non si hanno informazioni sul decorso della malattia quando i pazienti migliorano e proseguono le cure in altri reparti. Continuiamo quindi a raccogliere dati perché serviranno ulteriori studi, per valutare ad esempio l’impatto dell’intubazione per tempi prolungati, ma anche per migliorare i protocolli e le terapie per contrastare le forme più gravi di Covid19".