MARIANNA VAZZANA
Cronaca

Coronavirus: "Casa popolare a rischio contagi, non si fa nulla"

Franca vive in un alloggio Mm, il marito è morto di coronavirus. Però nessuno fa sanificazioni e menche meno tamponi

L’emergenza sanitaria pesa ancora di più negli alloggi popolari

Milano, 31 marzo 2020 - «Mio marito è morto di coronavirus. Io e mia figlia, disabile cognitiva, non abbiamo fatto il tampone: abbiamo spiegato la situazione ma a quanto pare per noi non c’è possibilità. Non solo. Viviamo in una casa popolare del Comune in largo Boccioni, zona Quarto Oggiaro: verrà effettuata una sanificazione degli spazi comuni? Chissà quanti altri, in città, sono nelle stesse condizioni". Franca ha 61 anni. Alla tragedia di aver perso il marito sessantasettenne, che è stato portato in ospedale lo scorso 20 marzo ed è morto dopo una settimana di agonia, si aggiunge l’angoscia di non sapere "se sto facendo tutto quello che dovrei per tutelare me, mia figlia e le altre persone". Una situazione comune a numerose persone che si trovano senza risposte. Per di più , apre una parentesi, "è stata un’odissea riuscire a sapere quando la salma verrà cremata. Ho faticato anche a comunicare che mio marito aveva un pacemaker: bisognerà valutare se toglierlo, prima della cremazione. Per tutte queste incombenze si è presentata di persona mia cognata all’ospedale, perché al telefono non c’era modo di risolvere".

Ma torniamo al caseggiato popolare. "Mio marito si è sentito molto male lo scorso 20 marzo, dopo sei giorni di febbre. Faceva fatica a respirare, così ho chiesto aiuto: è arrivata l’ambulanza ed è stato trasportato d’urgenza al Fatebenefratelli. Purtroppo è morto il 27, il coronavirus non gli ha lasciato scampo. Io avevo già iniziato la ‘mia’ quarantena insieme a mia figlia, che ha 37 anni, il 20 marzo, giorno in cui lei ha smesso di frequentare il Centro diurno disabili. La casa era infetta, noi potremmo esserlo. Chi può dirlo? Abbiamo informato sia il Fatebenefratelli e sia il Sacco, dove conoscono la nostra situazione, e pure il medico di base. Ma nessuno viene a farci il tampone. Quindi viviamo nel limbo.

L’unica telefonata che ricevo è dell’educatrice del Centro diurno disabili, che si informa ogni giorno delle nostre condizioni di salute. Fortunatamente non accusiamo sintomi ma questo non basta. Misuriamo la temperatura due volte al giorno, per buttare la pattumiera indosso sempre mascherina e guanti. Il pulsante dell’ascensore lo schiaccio sempre con le dita ‘coperte’. In più ho pulito e lavato tutta la casa. Per la spesa provvedono altri due figli, che vivono lontani: la ordinano on line. E poi utilizzo il servizio del fruttivendolo a domicilio. Io e mia figlia resteremo chiuse in casa per le due settimane necessarie. Nessuno però ci sta seguendo, facciamo tutto per senso civico".

Franca si domanda "se ci sia un piano per igienizzare gli spazi comuni delle case popolari. Ma pure nelle case private bisognerebbe controllare che le aree di passaggio siano disinfettate. La mia consuocera, che vive in casa privata, è nelle mie stesse condizioni: ha il marito ricoverato dallo scorso 19 marzo, al San Raffaele, e nel condominio nulla è stato fatto". Per le case di Aler e del Comune c’è in programma una sanificazione? Da Palazzo Marino fanno sapere che spetta alle Ats attivare la procedura. Al momento, apprendiamo, non è stato predisposto nulla. "Speriamo che il nostro caso - conclude Franca - serva ad attivare l’iter".