ANNAMARIA LAZZARI
Cronaca

Coronavirus, la professoressa Botta: "Quattro giorni per stanare il virus"

Isolato il ceppo italiano

La professoressa Claudia Botta con le sue allieve

Milano, 29 febbraio 2020 - Hanno lavorato nel laboratorio universitario dell’ospedale Sacco di Milano "per quattro giorni e notti quasi ininterrottamente". Per arrivare, due giorni fa, a un grande risultato: l’isolamento del ceppo italiano del coronavirus. A capo della squadra di ricercatori una donna: Claudia Balotta, professore associato di Malattie infettive all’università degli Studi di Milano. Un curriculum da 17 pagine con 162 pubblicazioni. Nel 2003 l’immunologa aveva già isolato il coronavirus della Sars. Proprio quell’esperienza ha consentito al team di arrivare in poco tempo all’isolamento del Sars-CoV-2 nel laboratorio universitario del Sacco diretto dal professor Massimo Galli. Balotta ci tiene a citare i suoi collaboratori e la loro posizione contrattuale: le ricercatrici "precarie" Annalisa Bergna, Arianna Gabrieli e Alessia Lai. Nella squadra il polacco Maciej Tarkowski, anche lui precario, oltre al professore associato Gianguglielmo Zehender. "L’Italia non può rendersi conto soltanto nelle situazioni di emergenza di non sostenere abbastanza la ricerca e non offrire una prospettiva a giovani bravi e capaci" esordisce la professoressa.

Che differenza c’è fra il virus isolato al Sacco e quello isolato un mese fa allo Spallanzani? "Il virus isolato dai colleghi di Roma è originario dalla Cina mentre il ceppo che abbiamo isolato noi è autoctono. Abbiamo cominciato a lavorarci domenica utilizzando il materiale biologico dei primi tre pazienti che provenivano dalla zona rossa attorno a Codogno".

Cosa significa isolare un virus? "Significa avere a disposizione una linea cellulare sulla quale inserire il materiale biologico dei pazienti – nel nostro caso ricavato dal lavaggio broncoalveolare o dal tampone naso-faringeo - per osservare l’effetto “distruttivo” che il virus possiede sulle cellule. Abbiamo osservato che la linea cellulare era molto “disturbata” dalla presenza del surnatante (il liquido della coltura ndr) che ipoteticamente poteva contenere il virus. La sua presenza è stata confermata attraverso metodiche molecolari. Le linee cellulari sono tenute in coltura perché quanto più surnatante raccogliamo tanto più isolato virale otteniamo".

A cosa servirà? "Per fare nuovi studi in vitro, per studiare l’efficacia dei farmaci e per poter mettere a punto i vaccini. Alcuni nuovi studi saranno condotti anche da noi. Da pochi giorni è partito un network europeo, attraverso il finanziamento della Comunità Europea (da 200 milioni di euro ndr). L’isolamento è solo il punto di partenza. Una volta che avremo tanti genomi dei virus potremo tracciare da un punto di vista molecolare, sulla base del segnale genetico del virus, il percorso del virus nell’area di Codogno e nel nostro Paese e procedere a una sua datazione".

E risalire così al paziente zero? "Il paziente zero va identificato da un punto di vista epidemiologico, non con le nostre metodiche. Ma potremo capire la relazione fra il paziente 1 di Codogno, il paziente 2 e così via".