Coronavirus, è a Milano il 40% dei ricoverati

Linee guida per i pediatri: un raffreddore non fa un sospetto

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MILANO

di Giulia Bonezzi

Ieri in Lombardia ci sono stati sei morti e 131 nuovi ricoveri distribuiti in 26 ospedali per coronavirus. C’erano 83 letti Covid occupati più di lunedì nei reparti e 12 in più nelle terapie intensive, che sono arrivate a 62 pazienti dai 35 agli 81 anni (l’età media è 62) divisi tra dieci strutture, di cui 40 intubati. Quasi metà, 27, sono ricoverati a Milano: otto al Niguarda (di cui 7 intubati), che ieri aveva 50 pazienti Covid in totale; otto al Policlinico (6 intubati), che nei reparti ne aveva altri 25; 6 al San Carlo (di cui 3 intubati), per un totale di 45 ricoverati col coronavirus nell’Asst, e cinque (di cui 3 intubati) al Sacco, che ieri ha avuto una ventina di nuovi ricoveri e di pazienti Corona è arrivato ad averne in tutto 92. Aggiungendo un’altra ventina di ricoverati non critici tra il San Raffaele e il Policlinico San Donato si arriva a 240, quasi il 40% dei 608 lombardi che erano in ospedale per coronavirus ieri. Anche sul fronte sanitario, dunque, la sorvegliata speciale è Milano, che anche ieri, con 440 positivi, concentrava nella sua provincia quasi metà dei nuovi casi scoperti in ventiquattr’ore in Lombardia, e poco meno di un quarto (236) in città.

Dei 1.080 nuovi positivi lombardi (su 17.186 tamponi) il 13,7% sono minorenni, l’11,5% tra 18 e 24 anni e il 38% tra i 25 e i 49, cioè nell’età dei genitori di chi va a scuola. Giovani e famiglie con bambini, le categorie più a rischio diffusione virale in questa fase secondo gli esperti del comitato tecnico-scientifico lombardo che ieri ha analizzato la situazione coronavirus in Lombardia. E approvato le linee guida ("chiare e precise", sottolinea l’assessore al Welfare Giulio Gallera) per distinguere i casi sospetti di nuova Sars dalla pletora di malanni stagionali dei bambini, nei pronto soccorso ma soprattutto a casa e nelle scuole, che restano aperte benché con precauzioni al livello attuale, ancora 1, di circolazione virale.

Le hanno scritte pediatri di base e ospedalieri, insieme a esperti della Regione. E dunque: un alunno a scuola col naso che cola ma senza febbre o altri sintomi respiratori, o con un po’ di mal di testa; che tossisce un paio di volte, o ha problemi intestinali molto lievi, oppure vomita una volta non è un ragionevole sospetto Covid da consegnare ai genitori per l’invio diretto al tampone. Un ragazzino che a casa manifesta i medesimi sintomi, o una febbre che passa da sola in 48 ore, oppure ha appena fatto un vaccino o ha una diagnosi certa diversa dal coronavirus (dalla tonsillite batterica all’asma allergica) non deve esser spedito dal pediatra al test molecolare senza ulteriori valutazioni, soprattutto su un eventuale rischio di esposizione al contagio. Mentre ad esempio la perdita dell’olfatto anche da sola è un’"indicazione repentina" a fare subito un tampone. Nel documento si ricorda che anche quando uno studente viene allontanato da scuola la famiglia deve contattare il medico o pediatra di base. L’Ats poi deciderà se prendere provvedimenti nell’istituto, e quali. Anche eventualmente avvalendosi dei test rapidi dell’antigene che debuttano in sperimentazione, utili "allo screening rapido di numerose persone" purché effettuati su un tampone naso-faringeo anziché su un campione di saliva (che caricherebbe comunque i laboratori). Sui bimbi “fragili“, perché già malati, medici, Ats e scuole devono avere un’attenzione rinforzata. Ora il pediatra che segnala un bambino per il tampone può indicare l’eventuale presenza di 21 diversi sintomi (più un campo libero) sul sistema di sorveglianza (informazioni che serviranno per affinare la capacità di diagnosi) e indipendentemente dall’esito, positivo o negativo, perché possa tornare a scuola dovrà fargli un certificato. Che non serve, invece, se il Covid non è mai stato sospettato .

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