Ruben
Razzante*
Chi naviga on-line si imbatte spesso in profili di persone defunte, che continuano ad essere gestiti dagli eredi. Le nostre vite sono sempre più digitali e adesso anche account e password possono entrare a fare parte dell’eredità. Questo vuol dire che, se una persona muore, gli eredi, qualora siano portatori di un interesse meritevole di tutela, possono richiedere di entrare negli spazi web del defunto. Lo ha stabilito una recente sentenza del Tribunale di Milano, che ha autorizzato una donna ad entrare in possesso dei beni digitali del marito defunto, ossia account, i-Cloud e profili social. La privacy del defunto può essere sacrificata per tutelare altri diritti, in questo caso quello della moglie e dei figli di entrare in possesso dei suoi beni digitali per verificare eventuali ultime volontà. Ma non sempre gli eredi possono rivendicare questo diritto. Il defunto potrebbe aver lasciato un testamento digitale, da un notaio o presso gli stessi gestori dei servizi web e social, vietando in forma scritta l’accesso ai suoi dati da parte degli eredi. La sua volontà di vietare l’esercizio dei diritti deve risultare in modo "non equivoco e deve essere specifica, libera e informata". Nelle altre situazioni, occorre valutare caso per caso. Il Garante della privacy, ad esempio, ritiene legittimo l’accesso ai dati sanitari di una persona deceduta, magari ai fini di un’azione di responsabilità medica, ma anche ai dati Inps, per ricostruire la pensione, a quelli dell’Agenzia delle Entrate, per capire se il defunto abbia lasciato debiti fiscali, ai dati bancari, per accertarsi di eventuali risparmi e investimenti del defunto, che spettano agli eredi. Ma bisogna usare cautela: nella corrispondenza on-line del defunto potrebbero essere presenti messaggi riservati che nulla hanno a che fare con l’esercizio di un diritto da parte degli eredi e che meriterebbero il massimo della riservatezza.*Docente di Dirittodell’informazioneall’Università Cattolica
di Milano