La vita al rallentatore nella città quasi deserta

Chi può scappa dal caldo: strade, parchi e Navigli spopolati. In centro (e in via Padova) tra stakanovisti dello shopping e della movida

Una piazza del Duomo insolitamente sgombra di passanti e turisti

Una piazza del Duomo insolitamente sgombra di passanti e turisti

Milano - Ore 15, trentatré gradi a piazzale Loreto secondo il telefonino, cioè appena quattro in più rispetto alle dieci di mattina, e uno in più di quanti ne segnerà lo stesso alle otto di sera. Temperatura percepita, più o meno quella di una salamella che sfrigola sulla griglia il 15 agosto. Solo che è passato da poco il 15 luglio, siamo nel bel mezzo di un’estate rovente iniziata in realtà già da due mesi con la prima ondata di caldo a metà maggio, e ci dirigiamo spediti verso un nuovo picco che a questo giro d’anticiclone africano è previsto mercoledì.

Così, in questa domenica peggio che d’agosto, in una Milano spopolata, più che dalle ferie, dalle partenze lampo alla "si salvi chi può", in cui gran parte delle strade nell’ora più calda sembrano abitate soltanto dalle macchine più qualche temerario in bicicletta, monopattino elettrico o skateboard analogico, facciamo il pieno di acqua potabile e andiamo a cercare i pedoni. Che scarseggiano nei quartieri residenziali ma pure nei parchi, e persino i Navigli sobbollono a livelli di passeggio da mare in inverno, mentre la Darsena pare ripiombata in uno scenario da lockdown pandemico: giusto qualcuno che porta fuori il cane o fa il giro dell’isolato fingendo di essere diretto al supermercato.

Però ad esempio in via Padova, coi suoi dintorni di stradine e stradacce non ancora riabilitate dal rebranding di NoLo, che è un microcosmo con anche alcune tenerezze di paese – all’ortofrutta affacciato sulla rotonda di via Giacosa un signore che ha perso i documenti ha affisso un biglietto con nome, cognome e numero di cellulare per farsi contattare da chi glieli trova –, la vita non si ferma a nessuna ora di nessun giorno, al massimo si fa più rarefatta. Anche oggi (ieri per chi legge) sui marciapiedi s’incontra un tizio che vende chissà cosa estraendolo da un carrellino per la spesa, mentre dal finestrino abbassato di una station wagon blu un abusivo sorridente sibila "taxi", e all’ombra del metrò di Loreto non mancano i latinoamericani coi volantini, che dicono a chi passa "Gesù ti ama" e l’invitano a pregare con loro in via Idro.

In giro s’incontra anche qualche anziano sprezzante dei consigli del tiggì, ma perlopiù sono giovani uomini di origine straniera temprati da altri caldi, rifugiati a consultare il telefonino nell’ombra di un bar o affaccendati in commissioni tra i minimarket sempre aperti: uno, eroico, porta una cassa d’acqua con la mascherina tirata quasi fino al naso, altri giovani scriteriati si dirigono verso il Trotter armati di mazze, palle e picchetti da cricket. Non si ferma neppure la movida, che ciascuno interpreta a modo suo: dopo la rotonda, sul lato al sole della strada, un uomo smaltisce una sbronza colossale su un gradino, assediato da bottiglie di birra vuote, mentre a pochi metri i compagni pasteggiano ancora attrezzati con seggiolina pieghevole, bicchieri di plastica e altra birra. Da un ristorante arriva musica latina, una band di mariachi elettrificati intrattiene gli avventori mentre affrontano vasche di robustissimi intingoli come se non fosse metà pomeriggio con quaranta gradi percepiti.

E del resto appena un’ora più tardi, sempre pomeriggio inoltrato, in centro-centro cioè zona Duomo, alcuni stranieri d’aspetto nordico sfidano allo stesso modo la sorte scorpacciando pizze e patatine su un muretto e addirittura al sole, senza cercare la protezione di un albero. Come via Padova, il cuore di Milano è un’isola che non fa la siesta neppure alle temperature estreme, e il centro è parzialmente ripopolato di turisti e stakanovisti delle compere domenicali, anche se le code, questa volta, sono davanti ai negozi di bevande fresche e alle gelaterie. Anche nelle vie dello shopping la folla è molto più rarefatta, e se in corso Buenos Aires si può sperimentare l’insolita sensazione di non rischiare di tamponare un altro pedone sul marciapiede, anche in via Dante, che pure alle 17 è in ombra, le distese hanno tutte qualche tavolo libero e si cammina larghi, a un ritmo non più milanese, rallentato e come appesantito dalla forza di gravità della calura che sale dall’asfalto come da una piastra rovente, poco o niente interrotta dalle zaffate d’aria condizionata che arrivano dai negozi rigorosamente con le porte aperte. La fontana del Castello zampillante, ormai definitivamente graziata dall’ultima ordinanza comunale antisiccità, è una calamita tra i cantieri; il più gettonato è il lato all’ombra, quasi tutti s’accontentano del riverbero degli schizzi e solo tre ragazzi affondano impunemente i piedi in acqua, uno addirittura si mette a camminare immerso fino al ginocchio, come fosse al mare.

La metropolitana rossa è piuttosto popolata, e a bordo i mascherati con almeno una chirurgica fanno cinquanta e cinquanta con i passeggeri a volto scoperto, a essere generosi includendo nei regolari chi porta la mascherina sotto il naso o a proteggere il collo da un improbabile colpo di vento. C’è da dire che diverse signore stantuffano con vigore ventagli più o meno improvvisati per compensare l’aria poco condizionata. Un tizio si è levato anche le ciabatte per far respirare i piedi, mentre offre al vagone la proiezione di un video a tutto volume sul suo telefonino.

 

 

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