
Il Fopponino di Porta Vercellina
Milano, 4 aprile 2017 - È una storia piena di storie, quella della Chiesa del Fopponino. Innanzitutto è una storia dimenticata che tra pochi giorni sarà svelata ai tanti che non l’hanno mai conosciuta. La dicitura corretta è: Antica Chiesa del Fopponino. L’edificazione iniziò nel 1662 e fu benedetta un anno più tardi da Don Macario, prete della Basilica di Sant’Ambrogio. La chiesetta affaccia su piazzale Aquileia e via San Michele del Carso, offre il fianco a via Giovio e dà le spalle a via Verga. Ha smesso di essere parrocchia nel 1964 quando, lì a pochi passi, fu completata la chiesa di San Francesco d’Assisi al Fopponino, ideata da Gio Ponti. Da allora non ospita più funzioni religiose con la regolarità di ogni chiesa in attività. Troppo piccola per le esigenze, pur spirituali, di una Milano che andava estendendosi al ritmo dei ’60.
Nonostante la chiusura al pubblico, le famiglie più radicate nel quartiere non sono mai riuscite a rimpiazzarla in favore di quella disegnata da Ponti. E così è capitato che chiedessero di aprirla in via eccezionale per singole funzioni, battesimi e matrimoni ma anche funerali, nonostante ce ne fosse un’altra bella e pronta. Quando una chiesa fa una comunità. Romano Zanzanelli, storico sagrestano del Fopponino, ricorda tutto: «In quelle occasioni la si apriva su richiesta. Poi però tornava a star chiusa. Capita ancora oggi». La prova d’amore definitiva del quartiere per la chiesetta seicentesca è, invece, storia dei giorni nostri. Col tempo si fa sempre più complicato ospitare anche sporadiche funzioni.
La facciata esterna, il cortiletto, l’acqua piovana che filtra dal tetto: la chiesetta ha bisogno di lavori di ristrutturazione non più rinviabili. E allora, quella del Fopponino diventa anche una storia lampo: negli ultimi cinque anni sono stati raccolti 435mila euro per i lavori di risistemazione e ben 145mila euro si devono alle donazioni delle famiglie del quartiere. «La gente ha dato prova di amare questa antica chiesa» commenta don Serafino Marazzini. Tra quanti hanno contribuito c’è anche l’Ordine dei Cavalieri di Malta. Ora l'appuntamento è per il 9 aprile, dalle 11: in occasione della domenica delle Palme, la chiesetta, consacrata ai Santi Giovanni Battista e Carlo, aprirà al pubblico. E per tre mesi una quarantina di volontari, tutti residenti in quartiere, faranno da guida, durante il fine settimana, a chiunque voglia conoscerla. Ma la storia del Fopponino è anche la storia di uno dei più antichi cimiteri della città, più antico pure del Musocco. «Fopponino» in milanese significa «piccola fossa» perché è nell’area a ridosso della chiesetta che dal 1576, dalla peste di San Carlo, furono seppelliti gli appestati.
La vocazione cimiteriale del luogo poi continuò anche una volta dismessa la pratica della fossa comune. Nell’Ottocento l’area diventa il cimitero di Porta Magenta, uno dei cinque in città. E vi trovava spazio pure il cimitero israelitico. Storie nella storia, all’esterno della chiesetta ci sono le lapidi in memoria di milanesi illustri che furono sepolti proprio al Fopponino: Margherita Barezzi, prima moglie di Giuseppe Verdi, morta nel 1840, insieme all’unico figlio, Icilio, morto a un anno d’età. Ecco perché domenica 9, quando i vescovi Roberto Busti e Carlo Ghidelli apriranno i battenti del portale, nella navata risuoneranno le note del grande compositore di Busseto. Con loro ci saranno anche Piera Bacci e Francesca Bazan, che introdurranno alla storia del luogo. Tra i milanesi illustri che trovarono eterno riposo al Fopponino c’è anche il patriota Amatore Sciesa, fucilato nel 1851 dagli austriaci. Sì, proprio quell’Amatore che ai gendarmi, avidi di nomi di ribelli, rispose secco: «Tiremm innanz». Ovvero: «Andiamo avanti». Proprio come la storia dell’antica chiesa del Fopponino.
giambattista.anastasio@ilgiorno.net