Chi erano Fausto e Iaio e perché il mistero sul loro delitto è sempre rimasto irrisolto

I due militanti di sinistra frequentatori del centro sociale Leoncavallo furono uccisi il 18 marzo 1978, due giorni dopo Moro. La rivendicazione di estrema destra e le loro indagini sull’eroina

Lorenzo Iannucci (Iaio) e Fausto Tinelli

Lorenzo Iannucci (Iaio) e Fausto Tinelli

Milano – Fausto Tinelli e Lorenzo “Iaio” Iannucci, meglio noti come Fausto e Iaio, erano due militanti di sinistra frequentatori del centro sociale “Leoncavallo”, uccisi il 18 marzo 1978 a Milano. Il delitto è sempre rimasto senza colpevoli. Benché non sia mai stata provata in modo ufficiale la matrice politica dell’atto, è opinione comune che esso sia attribuibile a elementi dell’estrema destra.

Il caso fu archiviato nel 2000 e, tra le altre ipotesi, per un periodo circolarono ipotesi che la morte dei due giovani potesse essere in qualche maniera correlata a quella del sequestro Moro, avvenuto due giorni prima, per via di presunti collegamenti di Fausto Tinelli con il covo milanese delle Brigate Rosse di via Montenevoso, che si trova a pochissimi metri di distanza dall’abitazione della sua famiglia.

Un altro filone investigativo, corroborato anche da un’indagine giornalistica parallela di Radio Popolare, riguardò il presunto coinvolgimento degli ambienti dello spaccio di droga milanese in ragione di un dossier che i due giovani avevano prodotto circa il commercio di eroina in città. La sera di quel sabato 18 marzo 1978 Fausto e “Iaio” Iannucci erano insieme in un bar del centro sociale Leoncavallo di Milano; avevano in programma di cenare a casa di Tinelli, come ogni sabato sera, per poi tornare al Leoncavallo per assistere a un concerto del musicista jazz Lino Gallo.

Lasciato il centro sociale circa alle 19.45, si trovavano in via Mancinelli dieci minuti dopo quando furono affrontati da tre persone, una delle quali, come riferirono testimonianze postume, indossava un impermeabile chiaro. I tre ignoti aprirono il fuoco su Iannucci e Tinelli, uccidendo il primo e lasciando gravemente ferito sul selciato il secondo, che morì poco dopo in ospedale. Uno degli attentatori, nella fuga in motocicletta, lasciò cadere un’arma poi recuperata dalla polizia.

Inizialmente si pensò a un revolver per via del fatto che non si trovarono bossoli sulla scena ma solo un proiettile, conficcato in un muro, di calibro 7,65; l’arma del delitto fu successivamente identificata in una Beretta 34 7,65 × 17. La mattina del 22 marzo, terminata l’autopsia sui due corpi, le salme furono ricomposte ed esposte nella camera ardente dell’istituto di medicina legale di Milano e, poco dopo, trasportate nella chiesa di Santa Maria Bianca della Misericordia dove si svolsero le esequie; decine di migliaia di cittadini e militanti seguirono il corteo funebre, che vide anche la presenza dei consigli di fabbrica di Alfa Romeo, Olivetti, Pirelli e altri grandi poli operai.

Il giorno dopo i funerali fu rinvenuta in una cabina telefonica di via Leone IV a Roma (zona Prati) un volantino dell’autodefinito «Esercito nazionale rivoluzionario - Brigata combattente “Franco Anselmi”» (Franco Anselmi era un neofascista bolognese morto due settimane addietro mentre tentava una rapina in un’armeria di Roma) rivendicante l’omicidio dei due giovani milanesi; a tentare di avvalorare la rivendicazione figurava un simbolo simile a quello del gruppo di estrema destra Avanguardia Nazionale.

L’omicidio dei due giovani era avvenuto due giorni dopo il sequestro di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse; queste, nel loro comunicato del 26 marzo, il secondo successivo al rapimento, omaggiarono le vittime di Milano esprimendo «Onore ai compagni Lorenzo Iannucci e Fausto Tinelli assassinati dai sicari del regime», sebbene tale messaggio fosse stato letto, anche a sinistra, come un tentativo delle BR di accomunare nella lotta anti-imperialista soggetti eterogenei per non rimanere, sia politicamente che moralmente, isolati.

Il Leoncavallo, tuttavia, sconfessò qualsiasi vincolo di comunanza con le Brigate Rosse. Nelle insaìdagini vennero indagati Massimo Carminati associato alla Banda della Magliana, Claudio Bracci e Mario Corsi, indiziati del duplice omicidio (per i primi due fu emesso un mandato di comparizione in data 15 ottobre 1991, per il terzo vi era stato un mandato di comparizione il 5 dicembre 1990), Valerio Fioravanti, Mario Corsi e Guido Zappavigna, indiziati dei reati connessi al progetto di attentato in danno di Andrea Bellini avvenuto a Milano nel 1979, e Zappavigna indiziato del reato di formazione e partecipazione a banda armata).

I due ragazzi stavano conducendo approfondite indagini (con interviste sul campo, registrate meticolosamente su nastri, poi trafugati misteriosamente dopo la loro morte) sui traffici di eroina e cocaina nel loro quartiere di Casoretto e nelle vicine zone di Lambrate e Città Studi, traffico di stupefacenti gestito da potenti ambienti della malavita organizzata e dell’estrema destra milanese.

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