Cesare Battisti ammette quattro omicidi: "Era ideologia, non ferocia"

Ecco i verbali in cui racconta perché ha sparato, ucciso e rapinato

CONFRONTO A sinistra  Cesare Battisti  a inizio  anni ’80; sopra,  dopo l’arresto  e 37 anni  di latitanza

CONFRONTO A sinistra Cesare Battisti a inizio anni ’80; sopra, dopo l’arresto e 37 anni di latitanza

Milano, 27 marzo 2019 -  «È una opportunità di cui intendo avvalermi non perché io possa sperare di ottenere benefici che mi rendo conto nella mia posizione non sono prevedibili almeno nel breve periodo, ma tengo ad evidenziare una mia scelta che avevo già maturato quando sono evaso nel 1981». Così Cesare Battisti racconta in uno dei due verbali, davanti al pm Alberto Nobili e al dirigente della Sezione antiterrorismo della Digos Cristina Villa. Battisti ha spiegato la sua intenzione di ammettere dopo quasi 40 anni le responsabilità in 4 omicidi e in altre azioni criminali dei Pac, negli interrogatori di sabato e domenica nel carcere di Oristano. L’ex terrorista ha detto di aver dovuto «dissimulare con i miei ex compagni di lotta armata» la sua decisione già presa «in quanto mai avrei potuto riferire di un mio intento di dissociarmi a rischio della mia stessa vita». E ha aggiunto: «Io non sono un killer ma sono stato una persona che ha creduto in quell’epoca» per un «movente ideologico» non per un «temperamento feroce». Battisti definisce «pura fantasia» la circostanza che abbia avuto dei rapporti con i servizi segreti francesi. «Escludo di avere mai avuto rapporti logistici o finanziari da soggetti italiani per favorire la mia latitanza - si legge in un verbale - quando ero in Brasile mi fu anche contestato da un giudice che io avrei avuto rapporti con i servizi segreti francesi che mi avrebbero favorito, si tratta di pura fantasia».

Negli interriogatori Battisti ricostruisce uno a uno i quattro omicidi per i quali è stato condannato all’ergastolo. «Il mio primo omicidio è stato quello del maresciallo Santoro, capo delle guardie carcerarie di Udine – racconta al pm Nobili – l’indicazione di commettere l’azione venne dai compagni del Veneto per le torture commesse nel carcere a carico dei detenuti politici. Partecipai all’azione esplodendo soltanto i colpi di arma da fuoco che causarono la morte del Santoro. Non so indicare per quale motivo esatto venne deciso di ucciderlo, a differenza di quanto fu fatto per l’agente di custodia Nigro, in quanto ero appena giunto nel gruppo armato e l’azione era già stata decisa. Per quello che posso dire – prosegue l’ex terrorista – ho appreso che il Santoro si era comportato in modo più violento di Nigro».

«Per quanto riguarda l’omicidio di Andrea Campagna – continua Battisti – cui ho partecipato sparando, l’indicazione è stata data dal collettivo di zona Sud, in quanto era ritenuto uno dei principali responsabili di una retata di compagni del collettivo Barona che erano poi stati torturati in caserma». Battisti afferma di avere sostenuto «la linea» di ferire e non uccidere Pierluigi Torregiani e Lino Sabbadin, i due commercianti che invece poi vennero ammazzati. «Ci tengo i a questa precisazione – afferma Battisti – che non cambia nulla circa la mia posizione, c’erano state discussioni accese sulla morte di Sabbadin e Torregiani ma alla fine era prevalsa la linea che io, insieme ad altri, avevamo sostenuto, ovvero ferire e non uccidere».

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