NICOLA PALMA
Cronaca

Centrale, il negoziante in trincea: "In un anno è cambiato poco"

Bivacchi e spaccio attorno al chiosco

Carlo Bianculli, gestore del chiosco di piazza Duca d’Aosta (Newpress)

Milano, 27 aprile 2018 - Sembra di rivivere sempre la stessa scena. Come un quotidiano déjà vu di cui farebbe volentieri a meno. Ormai Carlo Bianculli è costretto a fare la danza della pioggia, o quantomeno a sperare che il caldo agostano di questi giorni lasci spazio a un più tiepido clima primaverile, se possibile con qualche nuvola. Sì, perché appena la temperatura sale e il sole inizia a battere forte, tutto torna come prima davanti al suo negozio di souvenir. Decine di migranti, ieri pomeriggio ne abbiamo contati una trentina, si piazzano a due passi dal chiosco di piazza Duca d’Aosta lato via Vitruvio: «È l’unico punto coperto dall’ombra degli alberi», allarga le braccia lui, 56enne originario dell’Uruguay arrivato a Milano col padre nel 1982. Prima stava col bazar in largo Beltrami, poi il Comune l’ha fatto spostare per lasciar spazio all’Expo Gate; al termine di una battaglia legale, ha scelto nel 2016 di traslocare davanti alla stazione, luogo di passaggio per antonomasia.

Un anno fa sono spuntate le grane. Noi ci avevamo parlato nel luglio scorso: «Se si va avanti così, mi toccherà chiudere o spostarmi», ci aveva confidato. Dieci mesi dopo, la situazione non è cambiata molto: «Sono sempre qui, li vedete? Mangiano, faccio i loro bisogni nelle aiuole e spacciano». In effetti, alle 13 si presenta puntuale una ragazza di origine centrafricana, che tira fuori da un trolley alcuni recipienti e inizia a distribuire pasti a 4 euro l’uno. In pochi secondi, la zona si trasforma in una mensa a cielo aperto. «E addio turisti... – scuote la testa Carlo –. Voi ci passereste in questo vialetto? Io no». Blitz di polizia e carabinieri e presìdi fissi di militari e vigili hanno solo arginato l’emergenza, al massimo l’hanno dirottata in parte su altre aree ora diventate difficili a loro volta come via Vitruvio e via Benedetto Marcello. Bianculli non ce l’ha con le divise, anzi: «Loro vengono sempre, sono disponibili e preparati. Purtroppo possono farci poco: lunedì sono andati via all’una, e un quarto d’ora dopo...».

I servizi del commissariato Garibaldi-Venezia sono settimanali, a volte anche più frequenti. Non si può dire che si risparmino gli agenti dell’Investigativa di via Schiaparelli, coordinati dal dirigente Massimo Cataldi e dal funzionario Alessandro Chiesa: i controlli antispaccio sono costanti, così come quelli per identificare gli eventuali nuovi arrivati. Il ricambio è periodico, spesso ti imbatti in qualche faccia mai vista prima. A volte si rischia la rivolta: come qualche settimana fa, quando due poliziotti furono sfiorati dalle bottiglie di vetro scagliate da un gruppo di gambiani. La domanda che in tanti fanno: perché non espellono gli irregolari? Moltissimi di quelli che bivaccano in Centrale non lo sono, o non ancora ufficialmente: in parecchi casi, sono persone alle quali è stata negata in prima istanza la richiesta di asilo; il ricorso al grado successivo è automatico, quindi bisogna attendere i tempi non proprio celeri della giustizia.

E poi ci sono quelli che provengono da Paesi africani con i quali è complicato interagire, specie sul fronte rimpatri. Il tema è anche un altro, di criminalità. Attorno al bazar di Carlo prolifera lo spaccio, soprattutto di hashish e marijuana (sembrano spariti eroina e psicofarmaci): a rifornire i cavallini sarebbe una banda di nigeriani. Pure in questo caso, l’opera delle forze dell’ordine è ostinata, sebbene debbano confrontarsi con leggi non certo inflessibili e con pusher scaltri: mai più di una o due palline addosso (e sovente è semplicemente un mucchietto di carta arrotolata da vendere al fesso di turno). Questione irrisolvibile? «Non lo so – chiosa Bianculli –. Io non mi arrendo».