DIANDREA GIANNI
Cronaca

Caos al call center Inps, odissea per gli utenti

Risposte in 4 minuti, blocchi e fine ora e cassa integrazione. A Milano 83 operatori a rischio col nuovo bando: "Disservizi con soldi pubblici"

di Andrea Gianni

Riuscire a parlare con un operatore del contact center Inps è un’odissea, come hanno sperimentato pensionati in cerca di informazioni, percettori del reddito di cittadinanza, famiglie alle prese con la giungla dei bonus e dell’assegno unico. Quando si ha la fortuna di ottenere una risposta dopo pazienti attese, bisogna essere pronti a fornire codici e documenti. "I nostri superiori ci impongono di concludere una chiamata nel tempo massimo di quattro minuti", spiega una operatrice milanese. "Dobbiamo correre, anche perché negli ultimi 10-12 minuti di ogni ora le chiamate in entrata vengono bloccate da Inps per consentire all’azienda di risparmiare e rimanere nei volumi preventivati". Chiamate che poi si accumulano nell’ora successiva, quando gli utenti possono ritentare l’impresa di prendere la linea. La conclusione dell’operatrice è amara: "Stanno creando disservizi con soldi pubblici". Gli operatori poi, nonostante il volume di lavoro cresciuto durante la pandemia, sono in cassa integrazione al 30%. Paradossi nel caos che si trascina da mesi, legato alla decisione dell’Inps di internalizzare il servizio di contact center, ora affidato all’esterno in un regime di infinite proroghe dell’appalto, mettendolo in capo a una società controllata, Inps Servizi Spa. Processo che solo a Milano rischia di lasciare a casa 83 dipendenti di NetworkContacts, su un totale di 119. Entro aprile dovrebbe essere pubblicato il bando per traghettare gli operatori esterni nella pancia della società controllata da Inps, attraverso un maxi-concorso pubblico per creare il più grande call center in Europa.

Solo che i posti in palio potrebbero essere circa tremila (i numeri sono ancora da definire sulla base del piano industriale Inps), mentre a livello nazionale lavorano sulla commessa Inps 3319 operatori della società esterna. Potrebbero essere quindi esclusi quelli che lavoravano prevalentemente per Inps ma anche per conto dell’Agenzia delle Entrate (a Milano sono 83), scavalcati da colleghi con minore anzianità di servizio assunti per rafforzare gli organici durante la pandemia. Con la perdita della commessa Inps perderebbero anche il lavoro, perché la commessa dell’Agenzia delle Entrate è già passata a novembre alla cooperativa sociale Leonardo di Pomezia. Per questo sono sul piede di guerra: chiedono "chiarezza sul futuro" e di applicare la clausola sociale che in caso di cambi di appalto impone di riassorbire il personale. "Non applicarla sarebbe un precedente che potrebbe avviare la messa in discussione della clausola sociale nell’intero settore dei call center", denuncia Venanzio Cretarola, dell’Ugl Telecomunicazioni. L’interpretazione di Inps, invece, è che la società “in house“ è "obbligata a svolgere selezioni pubbliche e non può procedere per chiamata diretta o fiduciaria".

I sindacati Slc-Cgil, Fistel-Cisl e Uilcom, dopo un’audizione in commissione Lavoro alla Camera e un incontro con il presidente Inps Pasquale Tridico, hanno ribadito "perplessità e dubbi sul percorso che si sta delineando" e hanno minacciato una "mobilitazione dei lavoratori". Intanto ieri l’istituto previdenziale ha celebrato a Roma il primo giorno di lavoro di 165 nuovi funzionari, perché "dopo circa 15 anni l’Inps torna ad assumere personale con profilo informatico".