La storia di Pelè, l'ultimo cantastorie della vecchia Milano /VIDEO

Giancarlo Peroncini, detto Pelè, ha iniziato negli anni '60: oggi, 77enne, racconta ancora in dialetto il mondo della «mala da osteria» meneghina

Il cantante meneghino Pelè

Il cantante meneghino Pelè

Milano, 27 agosto 2018 - «L’osteria milanese di una volta era un teatro popolato di personaggi. C’erano le prostitute, i ladri, i magnaccia, ma era una mala più folcloristica che pericolosa, con balordi che rubavano per fame. E l’osteria era un tutt’uno con la casa di ringhiera che la ospitava: sopra, le donne recitavano il rosario. Sotto, si sentiva tutt’altro che preghiere...». Pelè, all’anagrafe Giancarlo Peroncini, 77 anni, è l’unico cantastorie rimasto a narrare in dialetto (e non) una Milano che non c’è più con il suo “bidofono”, strumento musicale con l’anima di un «bidone aspiratutto degli anni Settanta, ricoperto con la pelle di un divano», un manico di scopa «e una corda di quelle usate per stendere i panni, che pizzicata crea il sottofondo da basso». Lo strumento originale, spiega, «era realizzato con la latta per la conserva di pomodoro, “il tollofono”». Ha iniziato negli anni Sessanta a esibirsi alla Briosca, «osteria sul Naviglio Pavese, del Pinza», alias Luciano Sada. «Nel juke box infilava dischi autoprodotti con canzoni famose, da lui rivisitate in milanese. Un giorno entrò l’autore di “Montecarlo”, interpretata da Johnny Dorelli, che sentendo la versione milanese gli disse: “Fai più soldi di me”». Sempre «del Pinza» era un’altra osteria, al Gratosoglio, «che apriva di notte per rifocillare i lavoratori della Cartiera di Verona. Una volta entrò un uomo con rivoltella, partì un colpo che bucò il juke box e il Pinza chiuse il locale. Allora i “balordi” organizzarono una colletta per lui, raccogliendo 10mila lire. Una volta si usava di più il cuore. Se compariva un mendicante, gli si offriva da mangiare. Eravamo una famiglia».

Negli occhi ha il calore, i volti «di quei personaggi. Per esempio c’era “Remo Prefettura”, così soprannominato perché si diceva fabbricasse patenti migliori di quelle autentiche. Erano anni magici. I ghisa facevano le foto ricordo con noi, io ora mi diverto a riguardarle, so che mescolati ci sono guardie e ladri». Scolpita nella memoria, Alda Merini: «Sempre con la sigaretta. Una donna di polso. Allegra». Perché il soprannome Pelè? Lo spiega sempre, durante le esibizioni. «Correvo dopo un furtarello. Attorno, altra gente correva... Era la Stramilano: primo sono arrivato io, secondo il brigadiere che mi inseguiva». E se di notte cantava Milano (come fa ancora oggi, in teatri e locali, insieme al musicista Nadir Scartabelli) dando corpo ai testi di Nino Rossi, Walter Valdi, Mimmo Dimiccoli e a ballate popolari, di giorno lavorava: «Ho trasportato giornali alla Mondadori, sono stato addetto alle celle frigorifere della Findus. Con la liquidazione avuta dalla Mondadori ho aperto L’osteria delle tre fontane, in zona Porto di Mare». Oggi che è in pensione si dedica solo alla musica. «E naturalmente a mia moglie Rosanna, che ho sposato 60 anni fa dopo averla conosciuta a una festa di paese a Rozzano, e ai miei tre nipoti Mirko, di 23 anni, Angelica di 20 e Andrea di 18. I miei due figli purtroppo non ci sono più». Ieri ha portato allegria alla cascina Colombè, a due passi da viale Molise, al compleanno dell’amico Sergio Cecchetto che ha compiuto 70 anni. Gli auguri glieli ha fatti a modo suo, trasportandolo indietro nel tempo.

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