
Lauro Azzolini
Milano, 30 aprile 2025 – I tre figli e la vedova di Giovanni D’Alfonso, l’appuntato dei carabinieri ucciso mezzo secolo fa dalle Brigate Rosse alla Cascina Spiotta, nell’Alessandrino, durante il blitz per liberare l’imprenditore Vittorio Vallarino Gancia, il prossimo 9 maggio incontreranno il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Il Quirinale li ha invitati a partecipare alle celebrazioni del Giorno della memoria dedicato alle vittime del terrorismo, scegliendo quest’anno la loro storia come simbolo. Due donne e un uomo; Cinzia, Sonia e Bruno D’Alfonso, rimasti orfani di padre il 5 giugno 1975, che ieri hanno reso la loro testimonianza davanti ai giudici della Corte d’Assise di Alessandria.

La famiglia (assistita dagli avvocati Guido Salvini, Nicola Brigida e Sergio Favretto) è parte civile nel processo a carico dell’82enne ex brigatista Lauro Azzolini, l’uomo che secondo le accuse avrebbe ucciso D’Alfonso, e degli ex capi storici Renato Curcio e Mario Moretti, presunti mandanti.
Bruno D’Alfonso, il più grande fra i fratelli legati da una battaglia per la verità, all’epoca aveva 10 anni. Hanno ripercorso in aula il dolore e i “danni indelebili” subiti nel loro percorso di crescita. Bruno, in particolare, ha raccontato il suo cammino iniziato 16 anni fa, che lo ha portato a scavare nel passato in cerca di “uno spiraglio per arrivare alla verità”.
Ha sollevato anche il sospetto su un presunto “patto di non belligeranza” fra Stato e brigatisti, raccontando un colloquio del 2016 con Vittorio Vallarino Gancia (morto nel 2022) e alcune inquietanti circostanze che gli avrebbe riferito quest’ultimo in merito a un incontro negli anni ’70 con il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.
“Vallarino Gancia – ha spiegato D’Alfonso – andò in carcere a Cuneo per cercare di riconoscere le voci dei brigatisti che lo avevano rapito e ne riconobbe una, ma Dalla Chiesa gli disse di non dire nulla”, per la sua sicurezza. “Mi raccontò che arrivò il generale Dalla Chiesa che gli disse: ‘Se lei vuole campare ancora qualche anno, stia buono dov’è’. Io rimasi spiazzato da queste parole”.

Quel giorno, nella sparatoria, morì anche Mara Cagol, moglie di Curcio. L’avvocato Vainer Burani, che assiste l’ex fondatore delle Br, durante l’udienza ha depositato l’autopsia sul cadavere della donna, chiedendo di fare chiarezza sulle circostanze della morte.
Ieri sono stati ascoltati anche sei carabinieri del Ris di Parma che hanno condotto le recenti indagini scientifiche. Tra loro anche Giampietro Lago, per 15 anni alla guida del reparto. Hanno ripercorso le analisi sulle 11 impronte riconducibili ad Azzolini rilevate sulle pagine del memoriale che ricostruiva l’operazione fallita e fu rinvenuto nel covo milanese delle Br. Nelle scorse udienze il colpo di scena, perché Azzolini ha depositato una memoria ammettendo la sua presenza alla Spiotta, 50 anni fa.