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Cadavere alla Bovisasca, il racconto dell'orrore: "Decapitato perché aiutò un rivale"

Il delitto di via Carrà ricostruito dalla teste-chiave: ho visto cose terribili

La villetta di via Carrà dove è avvenuta la festa finita nel sangue

Milano, 4 aprile 2019 - Ucciso e fatto a pezzi per essere punito. Il suo torto? Aver avvisato un altro ragazzo che qualcuno lo stava cercando. Ci sarebbe questo, in sintesi, alla base dell’omicidio di via Carrà 11, per il quale sono finiti in carcere i due presunti esecutori materiali, i 21enni colombiani Jhonathan Hernandez Vega detto «Pericles» e Dilan Mateus Carddenas alias «Mateo», e colui che li avrebbe aiutati a smembrare il cadavere e a dargli fuoco davanti al gabbiotto della spazzatura di via Cascina dei Prati, il 38enne William Gomez Arango.

I dettagli emergono dall’ordinanza con la quale il gip Manuela Scudieri ha confermato i provvedimenti di fermo emessi domenica dal pm Paolo Storari a carico di Vega e Arango, bloccati rispettivamente all’aeroporto di Malpensa e nei pressi del luogo del delitto; Carddenas, invece, è stato intercettato e ammanettato martedì, stanato dagli agenti della Squadra mobile, coordinati dal dirigente Lorenzo Bucossi, e dai colleghi della Divisione Sirene in un albergo di Rungis in Francia, a due passi dallo scalo di Parigi-Orly. Stando a quanto risulta dagli atti, i dettagli della serata da horror sono stati svelati dalla compagna di Gomez Arango, che viveva con lui nella villetta bifamiliare (al piano di sopra ci vive la madre) dove è stata organizzata la grigliata «per il suo compleanno». La donna ha raccontato agli uomini della Omicidi particolari raccapriccianti della mattanza, a cominciare dal momento in cui ha visto «Cristian» (sarebbe questo il nome della vittima non ancora compiutamente identificata dagli inquirenti) «semiseduto su dei sacchi di plastica, con la gola tagliata». La teste, ritenuta attendibile dal giudice, ha spiegato che nel corso della festa (a cui hanno preso parte cinque persone) lei e «il suo convivente» si sono allontanati per mettersi «alla ricerca di un altro colombiano di nome Tony, che aveva avuto un litigio telefonico con Pericles e Mateo», probabilmente legato a «un tentato omicidio» che uno dei due avrebbe subìto dallo stesso Tony in Argentina. Mentre i due erano in giro, «i due uomini rimasti nella casa» avrebbero ucciso Cristian «per punirlo del fatto che si era messo in contatto con Tony» con un «messaggio di nascosto» per «aiutarlo a eludere le ricerche del Gomez» e della sua compagna, che volevano portarlo a casa per un «chiarimento».

Questi ultimi, tornati nell’abitazione, hanno visto dentro un «capanno» nel cortile Pericles e Mateo «vicino al corpo di Cristian che mostrava la gola tagliata e il petto sanguinante» e, in particolare, Mateus con «un coltello da cucina in mano». A quel punto, Gomez ha aiutato «gli altri due a smembrare il cadavere, a riporlo in una valigia per poi condurlo nel luogo dove è stato trovato e dargli fuoco». Gli investigatori, perlustrando la zona, avevano già trovato «schizzi di sangue» nel capanno. Poi la donna in stato confusionale ha iniziato a piangere e a dire: «Portatemi via di qui, vi dirò tutto, quello che ho visto stanotte è stato terribile». Da lì il verbale dell’orrore: «Ho chiesto dove fosse Cristian, uno dei due mi ha detto “È lì” e mi ha indicato un carrello del supermercato con all’interno una valigia». Nell’interrogatorio, Hernandez ha riferito che la vittima aveva il suo stesso cognome e ha provato a scaricare tutte le responsabilità su Gomez, tra l’altro suo parente, e ha raccontato che «questo Tony è una persona che voleva uccidermi già quando ero in Argentina».