NICOLA PALMA
Cronaca

Botteghe storiche, bocciate le regole regionali: saltano bonus e vantaggi per i bandi del Comune

Accolto il ricorso di Palazzo Marino: "Le norme annientano le differenze tra le diverse realtà" Salva la facoltà di prevedere la proroga automatica della concessione di spazi già assegnati

Da sinistra il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana e il sindaco di Milano Giuseppe Sala

Da sinistra il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana e il sindaco di Milano Giuseppe Sala

Milano, 31 marzo 2024 –  I giudici hanno cancellato premialità e vantaggi introdotti nel 2019 dalla Regione per spingere botteghe e negozi storici nelle gare per l’assegnazione di concessioni demaniali. Allo stesso tempo, hanno salvato la parte di delibera che ha previsto invece la facoltà di bypassare la gara pubblica con l’affidamento diretto allo stesso tipo di attività commerciali.

Per l’ennesima volta, quindi, il Tribunale amministrativo è stato chiamato a pronunciarsi su una questione più volte sollevata dai negozi storici della Galleria Vittorio Emanuele, che in diversi casi si sono visti riconoscere nel recente passato il diritto a ottenere il rinnovo automatico della convenzione senza dover competere con i giganti delle griffe e della ristorazione. In questa occasione, è stato il Comune di Milano a sollevare il caso, impugnando la delibera regionale numero 2043 del 31 luglio 2019.

Cosa prevede? Che "le concessioni per le attività storiche e di tradizione possano essere assegnate con affidamento diretto e che, laddove vengano attribuite attraverso pubbliche gare, debbano prevedersi sette criteri premiali in favore delle attività storiche e di tradizione". Ecco i paletti: incrementi percentuali non inferiori al 40% sulla valutazione complessiva; punteggio aggiuntivo agli esercizi commerciali che vantano una continuità aziendale "superiore al minimo consentito per l’iscrizione nell’elenco regionale"; punteggio aggiuntivo alle attività che siano classificate "micro e piccole imprese"; criterio di prevalenza "a favore dell’attività tipica del luogo o di un’attività particolarmente prestigiosa, legata alle tradizioni lombarde o all’eccellenza del made in Italy"; precedenza nell’assegnazione alle attività tipiche del territorio comunale, "con riferimento a categorie merceologiche e/o servizi legati all’identità cittadina"; premialità alle imprese "che garantiscano la presenza di arredi e allestimenti di particolare pregio per gli spazi esterni, le vetrine e le insegne"; ulteriore incremento del punteggio complessivo e diritto di prelazione in caso di pareggio "per le attività storiche e di tradizione tipiche già insediate nello spazio demaniale".

Per l’amministrazione di Palazzo Marino, che le sue regole in materia le ha fissate con una delibera di Giunta varata cinque giorni prima di quella regionale, sia l’affidamento diretto delle concessioni sia "le pregnanti premialità" in favore delle attività storiche confliggono "con le norme di matrice europea di tutela della concorrenza" e in particolare con quella "per cui le concessioni di beni di rilevanza economica devono essere attribuite con procedure competitive, in osservanza dei principi generali di pubblicità, imparzialità e apertura al mercato". Dal canto suo, la Regione si è difesa sostenendo che la delibera "non recherebbe alcuna lesione agli interessi comunali, in quanto, lunghi dal contenere imposizioni, essa si limiterebbe a consentire il ricorso all’affidamento diretto e a suggerire criteri premiali inseribili nelle pubbliche gare, in funzione di integrazione e non anche di sostituzione di quelli eventualmente già stabiliti dai Comuni".

Non la pensano così i giudici del Tar, che, testo alla mano, hanno rilevato una differenza sostanziale nel lessico utilizzato: se nel caso dell’eventuale affidamento diretto si usa l’espressione "i Comuni possono procedere...", in quello delle premialità la frase-chiave inizia con "i Comuni dovranno predisporre...". E del resto, ha aggiunto il collegio presieduto da Daniele Dongiovanni, il valore imperativo è stato colto pure da "numerosi operatori economici titolari di locali storici", che hanno contestato per vie legali le parti della delibera di piazza Scala ritenute "più stringenti" rispetto alla disciplina regionale. Conclusione: "La gestione del patrimonio comunale e delle tradizioni costituiscono settori in cui dominano esigenze prettamente locali e che giustificano la collocazione centrifuga delle funzioni amministrative, mentre la contrapposta esigenza di coerenza complessiva, adeguatamente bilanciata dal potere di indirizzo regionale, non può finire per annientare le differenziazioni insite alle varie realtà comunali".