Bombay, l’elefantessa dello zoo di Porta Venezia a Milano: “Socievole e affettuosa con i bimbi. Mio zio l’amava come una figlia”

Barbara Bigliani, nipote di uno dei guardiani, oggi ha 55 anni e ricorda con nostalgia quel periodo: “Quando l’animale morì disse a mia madre “Non hai idea del dolore“. Lavorò ai giardini fino alla pensione".

Bombay, l’elefantessa di città

Bombay, l’elefantessa di città

"Da bambina ero di casa allo zoo dei Giardini di Porta Venezia. Mio zio Domenico (Domenico Cafferoni, ndr) era tra i guardiani e per anni si è occupato dell’elefantessa Bombay, l’animale più amato dai piccoli. Allora per me era un mondo magico anche se, man mano che crescevo, gli animali in gabbia mi intristivano sempre di più". Barbara Bigliani racconta un pezzo di storia milanese che passa attraverso i suoi ricordi. Oggi la donna ha 55 anni, vive alle porte di Milano e, tornando con la mente agli anni Settanta e Ottanta, rivede quel "mondo magico".

"Mio zio era il fratello maggiore di mia madre. Voleva molto bene a Bombay, l’amava come una figlia. Parlava sempre di lei anche a casa, alla moglie e ai due figli. L’elefantessa era ben addestrata: con la proboscide distingueva le noccioline dalle monetine – teneva le prime per sé e dava le mance a mio zio – e aveva imparato a suonare l’organetto. In più mostrava un cartello che diceva di fare attenzione ai borseggiatori. Mio zio le saliva in groppa e stava lì, a suo agio. Io e mia sorella avremmo tanto voluto imitarlo ma mia madre ce lo impediva temendo potessimo cadere. Comunque ogni volta che lo andavamo a trovare era una festa".

Bombay era un’elefantessa asiatica, nata in un circo indiano nel 1934 e arrivata a Milano qualche anno dopo. Nella metropoli trascorse tutta la sua vita, fino alla morte, che risale al 13 febbraio 1987. Poi lo zoo venne lentamente smantellato, fino alla chiusura nel 1992. Fine di un’epoca e di quello che ormai veniva definito "un lager" per animali, costretti nelle gabbie di città. In un censimento del 1867 venivano elencati un centinaio di animali, tra i quali una giraffa, daini e cervi. Poi arrivarono anche leoni, ippopotami e non solo. Lo zoo negli anni è arrivato a ospitare fino a 500 esemplari.

"Mio zio – racconta Bigliani – lavorò lì per anni, fino alla chiusura. Amava tutti gli animali: mi mostrava gli ippopotami, un serpente che arrotolava su un braccio, mi teneva a distanza dai lama per evitare gli sputi. Con Bombay il rapporto era particolare, c’era un legame fortissimo. Ricordo che negli anni Settanta arrivò un altro elefante, Onda (furono diversi i cuccioli di pachiderma portati nello zoo, ndr) ma era meno socievole di Bombay".

La donna racconta anche il momento in cui, in gita con la scuola, "i miei compagni non credevano al fatto che io fossi la nipote del custode dello zoo. Ma quando arrivammo al suo cospetto e lui mi disse “Ciao Barbarina, vuoi fare un giro su Bombay?“, rimasero a bocca aperta".

La morte dell’elefantessa "fu un duro colpo per lui. A mia madre diceva “tu non hai idea del dolore che ho“. Era talmente legato a Bombay che ha voluto un elefantino scolpito sulla sua lapide. Mio zio non c’è più da tanti anni e la sua vololtà è stata rispettata. Ora la zia, ultranovantenne, conserva ancora le foto dello zoo e Bombay resta un dolce ricordo anche per lei". Mentre la testa dell’elefantessa è stata imbalsamata e si può ammirare in uno dei diorami del Museo di Storia Naturale.

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