Bimbo ucciso, la madre disperata: "Non sono riuscita a bloccarlo"

Fermato per omicidio il padre del piccolo Mehmed. La vita da abusivi in via Ricciarelli e le violenze dopo aver fumato hashish

Gli operatori raccolgono la salma del piccolo

Gli operatori raccolgono la salma del piccolo

Milano, 23 maggio 2019 - «Ho provato a fermarlo, ma non ci sono riuscita: ha picchiato anche me». Le lacrime di una madre. La disperazione per la morte del figlio di due anni e mezzo, ucciso sotto i suoi occhi dalla furia omicida del marito. Così Silvjia Z., 23enne di origini croate, avrebbe ricostruito davanti agli investigatori e al pm Giovanna Cavalleri gli ultimi minuti di vita di Mehmed, il piccolo che tutti chiamavano «Ronald» nello stabile di via Ricciarelli 22. La ragazza è stata ascoltata a lungo dagli uomini della Squadra mobile, e al momento non è emerso nulla che possa far pensare a qualche tipo di responsabilità da parte sua nel decesso del bimbo. Anzi, stando a quanto la giovane avrebbe raccontato agli agenti di polizia, era pure lei vittima delle aggressioni del compagno 25enne Aljica Hrustic, che scattavano puntuali e violente soprattutto quando fumava hashish «fuori di casa». Se la prendeva con lei e con Ronald: a mani nude, a schiaffi e calci, senza un perché. È stato così tante volte, forse con un’escalation negli ultimi giorni, a giudicare dai lividi rinvenuti su tutto il corpo del bimbo, anche se non risultano denunce né interventi delle forze dell’ordine.

È stato così pure ieri notte, la ricostruzione degli inquirenti, che hanno sottoposto l’omicida reo confesso a un provvedimento di fermo per omicidio aggravato dai maltrattamenti e dalla minore età del bambino deceduto. Il raid è scattato attorno alle 3, per stessa ammissione dell’omicida: «Non riuscivo a dormire, mi sono alzato e l’ho picchiato». Non si sa se in quel momento Mehmed stesse dormendo o se stesse piangendo, fatto che il padre ha iniziato a pestarlo con violenza, riuscendo pure a vincere la resistenza della moglie, in lacrime. Dopo due ore in cui non si sa bene cosa sia successo, Hrustic ha preso le altre due figlie (il quarto della coppia, il più grande, abita in Croazia con gli zii), è uscito di casa e prima di salire in macchina ha chiamato il 112: «Venite subito, mio figlio non respira bene». Giunti sul posto, gli agenti delle Volanti e i sanitari del 118 si sono trovati davanti una scena drammatica: una ragazza disperata che vegliava il bimbo, ormai senza vita e con i piedini ancora fasciati (e non legati come si era ipotizzato inizialmente) per le ferite provocate da alcuni cocci di vetro lasciati a terra.

«È stato mio marito, ho cercato di impedirglielo, ma non ce l’ho fatta», ha ripetuto poi Silvjia in Questura. Subito è scattata la caccia all’uomo da parte degli uomini della Omicidi, coordinati dal dirigente Lorenzo Bucossi. Sembra che Hrustic abbia cercato prima rifugio da un conoscente in via Bolla (la cui cella telefonica di riferito ha agganciato a inizio mattinata lo smartphone dell’assassino) e poi abbia ripiegato sull’abitazione di un parente, in via Manzano 4 al Giambellino. Lì, alle 12.30, lo hanno scovato gli investigatori: lui non ha opposto resistenza e ha confessato. Le due figlie sono state prese in consegna dai poliziotti e subito affidate a una comunità. La giornata di Hrustic è proseguita in via Fatebenefratelli, dove ha farfugliato una motivazione farneticante alla base di un raptus inspiegabile: «Non riuscivo a dormire e l’ho picchiato».

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