
Arrigo Sacchi e Silvio Berlusconi
Milano, 12 giugno 2023 – Arrigo Sacchi è stato di gran lunga l’allenatore più corteggiato e amato da Silvio Berlusconi: “Quando lui e il suo staff mi offrirono la panchina del Milan, io rimasi stupito ed esclamai: ‘O voi siete dei geni o siete dei pazzi. Spero la prima, per il bene di tutti!’”. Correva l’anno 1987 e quella firma su quel contratto avrebbe cambiato per sempre la storia del calcio italiano ed europeo, avrebbe aperto un trentennio formidabile, quello berlusconiano, scandito da vittorie in Italia, in Europa e nel mondo: il presidente più vincente del calcio italiano, Berlusconi.
"Mi disse che saremmo dovuti diventare la squadra più forte del mondo – ricorda Sacchi –, io gli risposi che mi sembrava riduttivo, che avremmo dovuto ambire a diventare la squadra più forte della storia. Anni dopo la Uefa e France Football assegnarono al Milan del 1989 proprio questo riconoscimento”. Uniti dalla capacità di sognare, dalla voglia di eccellere. Un legame indissolubile, quello tra l’allenatore di Fusignano e l’imprenditore con la fissa del pallone: “Tre anni fa mi offrì la panchina del Monza, per convincermi mi mise a disposizione una villa con maggiordomo ma declinai... sa che fino a poco tempo fa non sono mai riuscito a dargli del tu? Ho continuato a chiamarlo ‘Presidente’, a dargli del ‘lei’”, confessa Sacchi.
Oggi come lo ha salutato, Sacchi? "Guardi, io finora avevo pianto solo per la morte di mia madre. Stamattina ho pianto per lui. Non ci volevo credere, non me lo aspettavo, provo un dolore enorme... Sa come mi ha convinto a dargli del tu? Mi ha detto di mettermi davanti allo specchio e di ripetere fino allo sfinimento: ‘Silvio è uno str..., Silvio è uno str...’. Anche questo era Berlusconi: un uomo capace di ridere, amava molto ridere. Anche nel calcio il suo credo era: divertire, convincere, vincere. Prima di lui nessuno, nel nostro calcio, aveva mai pensato a far divertire la gente, il nostro era un calcio difensivo, basato sull’attesa dell’errore avversario, per poterlo sfruttare”.
È questa ironia che le mancherà di più di Berlusconi? “Mi mancherà tutto. Calcisticamente parlando era un uomo di grande conoscenza e come tutti gli uomini di grande conoscenza, aveva grande coraggio: altrimenti non avrebbe potuto puntare su uno come me, allora. Aveva una visione e sono in pochi ad avere davvero una visione. È stato un innovatore".
Presenza ingombrante, però. Per gli allenatori dei Milan non è mai stato semplice lavorare con lui. "Per me è stato semplicissimo, invece. Gli sono riconoscente non solo per avermi scelto per la panchina del Milan ma anche per avermi sempre supportato in ogni situazione e di fronte a chiunque. All’inizio della mia esperienza in rossonero, i risultati stentavano ad arrivare, alcuni giocatori erano diffidenti nei confronti del progetto ed io ero in difficoltà. Lui se ne accorse e mi chiese se avessi bisogno di una mano. Io dissi di sì e mi promise che sarebbe intervenuto. Da lì a poco convocò i calciatori a Milanello, disse che voleva parlare alla squadra. Sa quanto durò quel suo discorso?”.
Quanto? "Venticinque secondi cronometrati. Disse: ‘Buongiorno a tutti, sappiate che io ho totale di fiducia in Arrigo: chi lo seguirà, resterà al Milan, chi no, se ne andrà’. Punto. Mi spiegò che le cose importanti vanno dette in modo chiaro e succinto. Da quel giorno non perdemmo più una partita”.
Quale vittoria, tra le tante che avete condiviso, lo ha reso più felice? "Quelle in Europa...”.
Lo storico cinque a zero rifilato al Real Madrid? "Sì e no. Sì, perché si trattava del Real Madrid e quella fu una vittoria di grande prestigio, no perché sono convinto che a renderlo felice più di ogni altro successo sia stata la conquista della prima Coppa dei Campioni, contro lo Steaua Bucarest, nel 1989. Lui non si aspettava che l’avremmo vinta. In quella fase stavamo discutendo il rinnovo del mio contratto perché Adriano Galliani, furbescamente, era riuscito a darmi meno di quanto guadagnassi a Parma. Io chiesi un adeguamento superiore rispetto a quello che Berlusconi mi aveva offerto, ma chiudemmo la trattativa alla cifra che voleva lui. Con un accordo verbale, però. Solo verbale, nulla di scritto: se avessimo vinto la Coppa Campioni, lui mi avrebbe corrisposto la differenza ma raddoppiata. La notte del trionfo contro lo Steaua è venuto ad abbracciarmi e mi ha detto: ‘Non ho mai speso così bene i miei soldi’. Rispettò quell’impegno, anche se non c’era nulla di scritto. Era onesto”.
La corteggiò come un matto. "Da allenatore del Parma incontrai il suo primo Milan per tre volte nel giro di pochi mesi: prima in amichevole e poi due volte in Coppa Italia e lo battei. Lui per tre volte, al termine delle partite, venne a stringermi la mano e a dirmi: ‘Sacchi, la seguo’. Io avevo già un accordo con la Fiorentina così rifiutai di aprire ogni discorso. Ma lui insistette e attraverso Ettore Rognoni mi convinse ad andare a cena con lo staff del Milan uno o due giorni prima del mio appuntamento con la Fiorentina. Fu in quella cena che dissi loro: ‘O siete dei geni o siete dei pazzi’. Ora so che era la prima”.
Che resta della rivoluzione del Milan dell’’89, del Milan forgiato da Berlusconi e Sacchi? "Ci hanno imitato ovunque, tranne che in Italia”.