JESSICA MULLER CASTAGLIUOLO
Cronaca

Al Beccaria è lo sport che dà l’esempio. Campus con la Marina Militare

La Fondazione Rava con la Marina per le iniziative all’interno dell’istituto di detenzione minorile. “Molti ragazzi sono cresciuti senza padri, hanno bisogno di modelli. Ma pure di competenze”

I protagonisti (adulti) della giornata

I protagonisti (adulti) della giornata

Milano – Trattenere il respiro e riemergere. I ragazzi indossano l’autorespiratore ad aria e nuotano nella piscina dell’Istituto. Sono esili, molti poco più che adolescenti. Fragili, anche se cercano di nasconderlo. Con i palombari e gli incursori Comsubin sono stati tre giorni intensi al Beccaria, l’istituto penale per i minori di Milano. Attività subacquee e terrestri, percorsi di agilità, arti marziali, ma soprattutto scambio di esperienze e valori. È il quarto campus educativo con la Marina Militare che si inserisce nel progetto “Palla al Centro”, nato nel 2020 da un accordo tra Fondazione Francesca Rava con il Tribunale per i Minorenni di Milano e il Centro Giustizia Minorile per la Lombardia. La Fondazione, che ha una lunga alleanza con la Marina, qui è di casa. Con centinaia di volontari costruisce tutti i giorni un ponte tra dentro e fuori per contrastare l’isolamento dei ragazzi entrati nel circuito penale, con attività pensate per la loro futura inclusione sociale e lavorativa.

"Anche mio padre faceva le immersioni". Ahmed (nome di fantasia) fissa un punto imprecisato davanti a sé quando pronuncia parole tutt’altro che prive di significato. Come la maggior parte dei detenuti, è un minore straniero non accompagnato. Spesso finiscono qui anche perché non hanno la possibilità di scontare la pena a casa. E spesso, fuori di qui, non c’è nessuno ad aspettarli. "È un fenomeno che si è intensificato nell’ultimo anno. Sono più dell’80%, a fronte di una media nazionale del 46%", spiega Maria Carla Gatto, presidente del Tribunale per i Minorenni di Milano.

L’Istituto ha vissuto fasi critiche. Dall’indagine della Procura di Milano per maltrattamenti fino alla rivolta dei detenuti. Ora il numero dei ragazzi è calato. Sono circa 50 contro i quasi 80 di mesi fa. Sono arrivati 44 nuovi agenti e, a breve, con il progetto Fami, almeno quattro educatori e tre mediatori culturali. Anche psichiatri ed etnopsichiatri perché "la giustizia minorile assiste a un afflusso di ragazzi portatori di vissuti poli traumatici. Molti hanno un viaggio migratorio alle spalle o sono dipendenti da sostanze. La presa in carico non può essere solo educativa, ma integrata anche con i servizi sanitari", spiega il nuovo direttore Claudio Ferrari, primo dirigente stabile dopo anni di reggenze, che aggiunge: "Sicuramente questo istituto ha criticità che si sono sedimentate nel tempo, ma ho trovato un contesto già aperto a collaborare con il territorio, come dimostra il lavoro della Fondazione, che è tra i nostri principali partner".

"Per cambiare un sistema, troppo spesso, si passa per il dolore. Con il nostro progetto riqualifichiamo gli spazi, organizziamo corsi e attività professionalizzanti, fornendo ai ragazzi valori ma anche competenze", racconta la presidente della Fondazione, Mariavittoria Rava. "Conoscono attraverso di noi la gratuità e spesso dicono che vogliono fare i nostri volontari". Sorride, poi aggiunge: "Molti sono cresciuti senza padri. Hanno bisogno di esempi da ammirare. Gli abbracci tra loro e gli uomini della Marina che si vedono alla fine di queste giornate hanno un grande valore".

Conferma il contrammiraglio Stefano Frumento, comandante di Comsubin: "Nel nostro lavoro il riferimento è la coppia, mai il singolo. Spirito di corpo, rispetto reciproco, disciplina per salvaguardare la collettività. Sono valori che vogliamo trasmettere in queste giornate che sono anche per noi un’opportunità". "Cerchiamo di trasferire ai ragazzi che gli errori insegnano, ma ora siamo noi a dover imparare - dice Francesca Perrini, direttrice del Centro per la Giustizia Minorile della Lombardia -. Molti non dovrebbero nemmeno approdare alla carcerazione, ma non c’è prevenzione e la mancanza di risposte adeguate all’esterno concorre anche al sovraffollamento. Bisogna intercettarli prima".

Intanto si fa sera. Sono tanti i corridoi del Beccaria. Non lo si immagina quando lo si guarda da fuori. Qui dentro, tra queste corsie, trovare una via d’uscita è faticoso perché è un percorso che non ha scorciatoie: bisogna cambiare strada. Ma da soli, molte volte, non lo sanno fare nemmeno gli adulti. "Grazie perché vi ricordate di noi", dice Ahmed, con gli occhi ancora fissi nel vuoto.