REDAZIONE MILANO

Banca clandestina con imprenditori italiani

Sedici arresti tra broker abusivi e clienti del sistema “hawala“ per trasferire all’estero denaro di immigrati, ma con l’aiuto dei “locali”

Una banca clandestina che ripuliva denaro e lo trasferiva all’estero contando su “broker“ abusivi. Modalità (“hawala“ in gergo) ben conosciuta dagli investigatori e utilizzata soprattutto da clienti e risparmiatori immigrati. Stavolta però nel giro non mancano imprenditori italiani che in questo modo, e grazie alle percentuali trattenute, finanziavano pure le loro aziende. Un giochetto, ha scritto il gip Teresa De Pascale, in grado anche di "alterare il funzionamento del mercato" e di "inficiare, mediante la commissione anche di reati tributari, il sistema contabile delle società e conseguentemente il sistema fiscale".

È finita con tredici arresti e beni sequestrati per quasi 2 milioni con accuse di riciclaggio e operazioni di credito non autorizzaza. L’operazione coordinata dai pm Francesca Crupi e Adriano Scudieri ha consentito alle Fiamme Gialle di bloccare la banca clandestina che operava traferendo le somme raccolte tra i soggetti più vari soprattutto nel sud-est asiatico. Un gruppo di lavoro, diciamo così, con base a Milano e nell’hinterland, operante in Italia e all’estero, promosso ed organizzato da due broker “hawala“ di origini egiziane e dedito all’attività parabancaria grazie anche all’emissione e all’utilizzo di fatture di operazioni inesistenti emesse da società create ad hoc.

Le indagini, avviate a suo tempo dalla Finanza, hanno consentito di ricostruire due modi diversi di azione. Innanzitutto i broker raccoglievano e trasferivano in Italia e all’estero – Egitto, Spagna, Malesia – somme di provenienza illecita e senza le autorizzazioni del caso. La compensazione avveniva con certi “codici” noti solo ai soggetti interessati, che i clienti dovevano comunicare ai broker per dare corso alle operazioni. La“commissione“ variabile era tra il 2 e il 5 per cento.

Ma c’era poi un secondo modo venuto a galla. I broker consegnavano le somme di denaro ricevute in contanti dai clienti, a imprenditori italiani. Ed erano poi questi ultimi a provvedere ai bonifici per importi equivalenti a terze società (italiane o estere) indicate dagli stessi clienti, giustificando l’operazione con fatture riferite ad operazioni inesistenti visto che tra i soggetti interessati in realtà non vi era alcun altro tipo di rapporti economico. E talvolta, per ridurre il rischio di essere scoperti, gli imprenditori ripetevano le stesse operazioni di trasferimento verso società controllate da soggetti “terzi terminali”, anche in quel caso consegnando denaro contante e ricevendo in cambio bonifici giustificati formalmente, come in una catena, di Sant’Antonio da fatture per operazioni inesistenti.

I denari venivano poi riciclati in varie parti del mondo con finanziamenti a società in Repubblica Ceca, Malesia, Francia, Danimarca e Belgio. L’indagine ha ricostruito circa 100 milioni di flussi finanziarnei 193 rapporti utilizzati dai membri dell’associazione criminale. Attraverso l’analisi di cellulari e computer sequestrati dalla polizia giudiziaria, è emerso che gli indagati avevano stipulato accordi per fatture false per oltre 3 milioni di euro.

M.Cons.