Baby Gang torna di nuovo in carcere. La vita del trapper fuorilegge: tra rapine e sparatorie, finzione e realtà

Il primo furto a 11 anni, due condanne e ora l’arresto per i post dai domiciliari. La promozione dell’ultimo album con pistola e bracciale elettronico alla caviglia

Zaccaria Mouhib, 22 anni, nato a Lecco, origini marocchine, è noto come Baby Gang

Zaccaria Mouhib, 22 anni, nato a Lecco, origini marocchine, è noto come Baby Gang

La prima volta fu a 11 anni, nel 2012. Furto di vestiti in un negozio. Il giudice lo spedisce in comunità, dalla quale scappa quasi subito. L’ultima tre giorni fa: violazione degli arresti domiciliari e ritorno in carcere. In mezzo, una serie di reati, processi e condanne più lunga del numero delle sue canzoni.

"Da quando avevo undici anni - ha detto in una delle poche interviste - non ho mai fatto un’estate tranquillo. O in galera o in comunità". Questo è Zaccaria Mouhib, 22 anni, lecchese di nascita marocchino di origine, meglio noto come Baby Gang, fenomeno della scena trap italiana con milioni di streaming, collaborazioni eccellenti - da Guè a Lazza, da Fabri Fibra a Sfera Ebbasta - e biglietti a ruba per i sei concerti in programma questa primavera e posticipati, per ora, a dicembre. Già, i concerti, quelli che - a causa del continuo andirivieni dal carcere - in pratica non ha ancora mai fatto, se si escludono due fugaci apparizioni sul palco di Lazza nel settembre del 2023 e di Morad nel novembre successivo.

Del resto, a 22 anni, ha già due condanne in primo grado – per una rapina (4 anni e 10 mesi) e per la sparatoria in corso Como nel 2022 (5 anni e 2 mesi) – e il tempo per la musica è quello che gli viene concesso con permessi lavorativi speciali dai giudici. Gli stessi giudici che, ogni volta, si ritrovano puntualmente a tornare sui propri passi. È successo a gennaio di quest’anno quando l’obbligo di dimora si è trasformato in domiciliari a causa di un colpo di pistola sparato contro un conoscente. E risuccesso tre giorni fa quando i domiciliari sono diventati carcere, a Lecco, per la campagna social di promozione del disco “L’angelo del male“ uscito il 26 aprile. Una serie di post su Instagram in cui Mouhib si è fatto riprendere con una pistola (dorata) e ostentando il braccialetto elettronico. Immagini - dicono i giudici - indicative "del pericolo concreto di reiterazione di reati analoghi a quelli per cui è imputato".

Per non parlare dei testi e dei video del nuovo disco, un vero concentrato dell’immaginario trap, riassumibile nei versi di “Agente“, il brano che vede Baby Gang duettare con Jake La Furia ed Emis Killa: "Mi danno del delinquente. Sempre meglio che agente". O in quelli di “Adrenalina“, hit del momento anche in radio, insieme a Blanco e Marracash: "Dicono i ricchi che i soldi non fanno la felicità. Allora lascia tutta la tua eredità. Così magari compro una Cadillac".

Dove inizi la finzione del trapper tutto droga e pistole e dove finisca la realtà del ragazzo difficile cresciuto ai margini, in comunità e case famiglia, nel caso di Mouhib è quanto mai difficile stabilirlo. A 11 anni la prima fuga da casa, un bilocale di Lecco - ha raccontato lui stesso - che divideva con i sei fratelli. Il primo reato, la prima comunità. Poi le rapine sui treni, l’aggressione a un poliziotto, le accuse di istigazione alla violenza, la rissa, la sparatoria.

Il riformatorio e il carcere minorile dove, all’età di 15 anni, ha conosciuto don Claudio Burgio, attuale cappellano del Beccaria e fondatore delle comunità Kayros. Il sacerdote, da sempre vicino ai giovani che finiscono dietro le sbarre, ha ascoltato le sue prime canzoni, lo ha accompagnato negli studi di registrazione, arrivando a una conclusione: "Quel ragazzo, che si intestardiva nel voler diventare un musicista, ha talento".

Un rapporto proseguito negli anni, tanto che don Burgio di recente ha regalato al trapper una canzone scritta da lui, dal titolo ‘Spavaldo e fragile’. Un brano "dedicato a Baby, ai ragazzi di Kayros e a tutti quelli venuti su con troppo vento che hanno il coraggio di rialzarsi ogni giorno". Gli altri trapper devono rincorrere il cliché della vita di strada, Mouhib è un cliché vivente.

Lo stesso nome d’arte è un “omaggio“ ai titoli dei giornali che attribuivano a bande di ragazzini i "casini" che combinava sui treni. Certo, ci sarebbe la musica come strumento di redenzione, ma il cortocircuito tra realtà e finzione nel caso di Baby Gang gioca a suo sfavore. Del resto i fan, soprattutto i tredicenni e i quattordicenni, lo amano proprio per questo. Lui è "real", dicono.

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