Il campione Attilio Fini e il bandito con la pistola a Milano: “I miei 93 anni senza paura, le sfide olimpiche erano più dure”

La tentata rapina in zona Washington, così la leggenda della scherma ha disarmato il criminale che voleva rubargli l’orologio: “Lo sport insegna a non arrendersi”. La figlia: “Ha rischiato troppo, ma è fatto così”

Attilio Fini, 93 anni

Attilio Fini, 93 anni

Milano – “Mi ha salvato lo sport, è proprio il caso di dirlo. La scherma infatti ti allena ad avere sempre i riflessi pronti". E Attilio Fini, 93 anni, leggenda della scherma italiana, ct della nazionale che a Monaco ’72 interruppe il digiuno azzurro di medaglie con uno storico oro, i riflessi li ha avuti davvero prontissimi. Insieme a una considerevole dose di coraggio. Così, quella che poteva essere l’ennesima rapina senza colpevole di un orologio a Milano, è finita invece con un criminale messo k.o. da un 93enne. “Quando mi sono trovato davanti quella pistola ho reagito d’istinto”, dice sorridendo Fini.

Attilio Fini dopo il trionfo olimpico con Marco Marin
Attilio Fini dopo il trionfo olimpico con Marco Marin

L’aggressione

Lunedì, tardo pomeriggio, via dei Grimani, zona Washington. Attilio Fini sta rientrando a casa dopo una breve passeggiata nel quartiere. “Mi si avvicina questo soggetto - racconta - intorno ai trent’anni. Mi punta una pistola al petto. Mi dice che vuole il mio orologio. D’istinto gli ho tirato un colpo sulla mano, la pistola è caduta. Poi gli ho dato una spinta e lui è caduto tra le moto che erano parcheggiate a bordo della strada. Per mia fortuna è rimasto incastrato tra i mezzi e non è riuscito a rialzarsi e subito dopo sono arrivati due ragazzi che lo hanno bloccato e chiamato la polizia”.

“Ma sei matto?”

"Paura? No, non ne ho avuta - dice ancora Fini - Non c’ho pensato: l’ho colpito e basta. Anche perché se uno si mette a pensare a quello che gli può succedere, addio: è finita”. Di opinione opposta invece la moglie Paola e le figlie Benedetta e Alessandra. “Quando mi ha raccontato cos’aveva fatto – dice Benedetta – gli ho detto ’Ma sei matto?’. Però mio padre è fatto così, di certo non è una persona diplomatica”.

“Non era neanche un Rolex”

Il rapinatore voleva il suo orologio. “E pensare che non era neanche il Rolex che la Federazione mi regalò nel 1982 per i nostri risultati olimpici, quello non lo indosso mai, lo tengo sempre a casa. Siccome so come vanno queste cose, di solito indosso uno Swatch. Lunedì però avevo un orologio che era appartenuto a mio suocero, un ricordo di famiglia”. Il criminale ha visto solo l’anziano, la facile preda, mentre in realtà aveva davanti un uomo abituato a controllare i nervi e a combattere fino all’ultima stoccata.

Attilio Fini, in veste di Ct della nazionale di scherma
Attilio Fini, in veste di Ct della nazionale di scherma

L’impresa di Monaco ‘72

La pistola, la minaccia, il sentirsi senza scampo ha risvegliato in Fini l’antico istinto dello sciabolatore, quello che trasforma la difesa in attacco. Lo stesso che permise alla sua nazionale di battere alle Olimpiadi di Monaco del 1972 gli squadroni dell’Est Europa (e i giudici) e riportare la scherma italiana in cima al mondo con un oro, nella sciabola a squadre, che mancava dalla bacheca della Federazione da 36 anni. “Quello che ho imparato in tanti anni di sport, e che ho cercato di trasmettere ai miei atleti è che non bisogna mai arrendersi”.

Rivoluzione vincente

Fini, insomma, di battaglie, sportive e non, se ne intende. “Quelle che ho combattuto in pedana e nella Federazione sono state molto più dure di quella con il rapinatore. Quando sono stato nominato Ct ho voluto cambiare tutto: ho portato gli schermidori ad allenarsi sulla neve, con nuovi sistemi, ho cambiato i maestri. Una rivoluzione che ha incontrato molte resistenze, poi però i risultati si sono visti”.

Famiglia di sportivi

Fini è nato nel 1930 a Castel San Pietro, in provincia di Bologna, in una famiglia che con lo sport aveva un legame molto forte. “Mio papà Ugo negli Anni 20 giocò in serie A, nel Bologna e poi nella Spal. Dopo il calcio divenne ingegnere e, tra i vari incarichi, diresse il cantiere del velodromo Vigorelli. Per quello siamo venuti a Milano”.

Milano nel cuore

Da Ct della nazionale ha poi abitato per anni a Roma, “ma mia moglie non si è mai abituata e appena abbiamo potuto siamo tornati a Milano”. Già, Milano. La città che continua ad amare nonostante la brutta avventura. “Massì – conclude Fini – è vero che la sicurezza in strada è un problema, ma io continuerò a fare le mie passeggiate. Anzi, stasera andrò con mia moglie al Manzoni a farmi quattro risate come facciamo ormai da tanti anni”.