Milano contro le scelte della Regione: "Così è a rischio l’assistenza ai minori disabili"

La Fondazione Maddalena Grassi: "Rimborsi insufficienti, difficile reclutare personale: così il sistema non regge"

Per i bambini disabili e autistici serve più assistenza

Per i bambini disabili e autistici serve più assistenza

Milano - ​Il concetto è semplice: "L’assistenza domiciliare ai minori con gravi disabilità rischia di sparire". Le ultime scelte della Regione non aiutano a rilanciare il servizio, anzi stanno sortendo l’effetto opposto. A dirlo è Maurizio Marzegalli, vicepresidente della Fondazione Maddalena Grassi di Milano, uno dei pochissimi enti in Lombardia che si occupano di assistere bambini e adolescenti con disabilità gravi e gravissime a domicilio, attraverso uno spettro di interventi che va dall’infermieristico alle cure riabilitative o palliative, ma anche a scuola, garantendo alle famiglie la presenza di personale che accompagni il minore a lezione e badi a lui pure in classe. Interventi dalle prospettive nere. Il quadro, allora.

L’Assistenza domiciliare integrata (Adi) viene svolta da enti privati che ottengono l’accreditamento dalla Regione. Da due anno e mezzo a questa parte il problema più grande per questi enti è reclutare il personale necessario a garantire i servizi e gli interventi di cui sopra: infermieri in primis, ma anche educatori, logopedisti, fisioterapisti ed altri profili specialistici. Le difficoltà nel reclutamento hanno ragioni sistemiche e datate: in Italia mancano 70mila infermieri, di cui 28.500 solo al Nord. E ragioni locali: "Le tariffe stabilite dalla Regione non sono competitive – spiega Marzegalli –: chi presta servizio nell’assistenza domiciliare guadagna significativamente meno di chi lavora in ospedali, ambulatori o centri vaccinali sebbene faccia un lavoro che spesso è significativamente più complesso e provante, anche dal punto di vista psicologico".

Maurizio Marzegalli vicepresidente della Fondazione Maddalena Grassi
Maurizio Marzegalli vicepresidente della Fondazione Maddalena Grassi

Una disparità che il periodo pandemico ha acuito. Qualche esempio. Un infermiere che lavori in un centro vaccinale percepisce 50 euro lordi all’ora, un infermiere che assiste a domicilio o a scuola un minore con disabilità grave o gravissima percepisce in media 27 euro lordi all’ora: questa è la tariffa che viene rimborsata dalla Regione agli enti. E in quella cifra deve rientrare ogni spesa, anche quella per il viaggio di andata e ritorno dalla casa del bambino. A conferma dell’esistenza del problema della disparità retributiva c’è l’aumento della tariffa disposto dalla stessa Regione durtante la pandemia: un contributo secco di 12 euro in più al giorno.

Ma una volta venuto meno lo stato di emergenza sanitaria, è venuto meno anche questo bonus. "Noi – spiega Marzegalli – abbiamo comunque mantenuto una maggiorazione della tariffa. Ma lo stiamo facendo a spese nostre, ci stiamo smenando e non si tratta, comunque, di una maggiorazione che ci consente di essere competitivi con altri servizi e di avere il personale del quale avremmo bisogno: nel 2019 assistevamo 143 minori, oggi siamo a 85. Non è venuto meno il bisogno di assistenza di bambini e famiglie, è venuta meno la nostra possibilità di garantirgliela".

Non bastasse, la Giunta regionale il 2 agosto ha approvato una delibera che rivede il sistema di pagamento per l’Adi: la Regione ha deciso di non rimborsare più le prestazioni del personale degli enti in base al numero di ore che queste hanno richiesto ma di rimborsare gli accessi al domicilio. Detto altrimenti: conta quante volte un infermiere è entrato in casa di un suo assistito, non quanto tempo vi si è soffermato.

"Questa svolta – sottolinea Marzegalli – è rivelatrice della strategia della Regione: privilegiare l’assistenza domiciliare agli anziani, lasciando ai margini quella ai minori. Infatti le prestazioni da assicurare agli over 65 spesso sono meno impegnative, meno specialistiche e più rapide rispetto a quelle da assicurare ad un minore con grave disabilità. La logica del rimborso ad accessi favorisce quel tipo di servizio. Le stesse scale di valutazione inserite nella delibera sull’Adi sono pensate per gli over 65, non si fa cenno ai minori". Qualche numero, allora: "Nell’area metropolitana di Milano gli enti accreditati per l’Adi sono 40, ma di questi solo 3 si occupano di minori. Non è un caso. Tutti gli altri assistono anziani".

Un’altra delibera, stavolta relativa ai voucher B1, quelli da riconoscere alle famiglie con disabili gravissimi a carico, introduce un buono scuola (che può arrivare fino a 1620 euro al mese) proprio per consentire a mamme e papà di retribuire infermieri che possano assistere i figli a scuola nel caso ci sia bisogno di eseguire manovre che per legge, in assenza dei caregiver, possono essere eseguite solo da infermieri: dalla tracheostomia alla broncoaspirazione. Il punto è che tale contributo ha un vincolo che sa di paradosso: l’assegno può essere utilizzato solo per retribuire infermieri che lavorino per enti accreditati all’Adi.

"Ma questi enti – sottolinea Marzegalli – sono i primi a soffrire di mancanza di personale. Perché non consentire alle famiglie di usare quei soldi anche per infermieri privati?". I minori seguiti dalla Fondazione a scuola sono 38 su 85. "Ma li seguiamo in media solo per 3 ore alla settimana – precisa Marzegalli –. Di più non riusciamo a fare in assenza di personale e di provvedimenti legislativi che ci consentano di essere competitivi nel reclutamento. Non so per quanto potremo andare avanti così. Il servizio dell’assistenza domiciliare ai minori rischia di chiudere".

mail giambattista.anastasio@ilgiorno.net

 

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro