SIMONA BALLATORE
Cronaca

L’eredità di Arnaldo Pomodoro: “Arrivò in una Milano bombardata e restò”. Le sue volontà? “Non museificate il mio studio”

La nipote Carlotta Montebello alla guida della Fondazione creata dal maestro a Milano. “Riservatissimo, rigoroso. E con un’idea cardine: non museificate il mio studio”

A Milano ha sede la Fondazione che il maestro ha creato quando aveva 69 anni, e che è diretta dalla nipote Carlotta Montebello (con Pomodoro nella foto)

A Milano ha sede la Fondazione che il maestro ha creato quando aveva 69 anni, e che è diretta dalla nipote Carlotta Montebello (con Pomodoro nella foto)

MILANO – “Riservatissimo nella sua sfera personale. Rigoroso. Quando ho cominciato a lavorare con lui ho smesso di chiamarlo zio: era Arnaldo. Un visionario”. Carlotta Montebello, nipote di Arnaldo Pomodoro, dirige la Fondazione che il maestro ha creato “quando aveva 69 anni ed era ancora un giovanotto”. A lei l’arduo compito di annunciare la scomparsa dello scultore, alla vigilia del suo 99esimo compleanno.

Il primo ricordo, da nipote.

“Aveva un profondo legame con la famiglia e con sua sorella Teresa, mia madre. Ma lo ha sempre tenuto riservato, come per proteggerlo. Tant’è che a differenza di molti artisti che decidono di lasciare una comunicazione ufficiale per il “dopo di loro”, ha passato lo scettro per dirigere la sua fondazione senza annunci pubblici. Da nipote, conservo i ricordi di uno zio tenero. Quando ero piccola, io e mia sorella gemella Beatrice trascorrevamo diverso tempo con lui in Lomellina”.

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E com’è stato lavorare con lui?

“Sono stata chiamata sin dalla nascita della Fondazione Arnaldo Pomodoro, 30 anni fa. Non voleva essere accusato di “nipotismo“, sono diventata una collaboratrice al di là del legame di sangue. C’era un profondo affetto, ma si è subito posto in maniera molto rigorosa con me e io di conseguenza. Non condividevo sempre le sue idee al 100 per cento, quando non ero d’accordo glielo facevo sapere. E credo che questo l’abbia apprezzato”.

Le ha lasciato la direzione generale della fondazione: prova di fiducia.

“È un’eredità morale impegnativa, soprattutto adesso che non c’è più. Ho avuto la fortuna di vederla crescere con lui, che voleva sovrintendere tutto. Non per mania di controllo, ma perché voleva vedere come farla funzionare, adattandola ai tempi. Aveva una visionarietà incredibile”.

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Arnaldo Pomodoro è considerato uno dei più grandi esponenti della scultura contemporanea italiana

Presente fino all’ultimo?

“Sì, ricordo l’ultimo pranzo con tutti noi il 19 dicembre, le sue indicazioni sulle trasformazioni degli spazi nel suo studio. Sono felice di averle potute fare con lui, sufficientemente lucido. Adesso non sarà facile. Mi fermerò a chiedermi sempre cosa avrebbe pensato Arnaldo. Cercherò di fare del mio meglio: mi ha insegnato molto, lasciando tracce importanti”.

Nel suo studio, che ha voluto aprire alla città, c’è al centro la sua scrivania colma di appunti.

“Che non toccheremo mai. Quando ha voluto avvicinare lo spazio espositivo nel luogo dove dal 1968 in poi ha iniziato a lavorare, in via Vigevano 3, ha dato un’indicazione chiara: “Non museificate il mio studio”. Continuerà a essere così: un luogo d’incontro di artisti, aperto agli studenti. Alcune scuole hanno avuto la fortuna di vedere le sue apparizioni tra i bimbi. Per lui era un modo per avvicinarli alla scultura, che può sembrare ostica”.

Con Milano aveva un rapporto speciale?

“Sì. È arrivato nel 1954, ha trovato una Milano che era ancora in ginocchio per i bombardamenti. Ma c’era fermento, desiderio di ricominciare e c’erano artisti che dialogavano tra loro. Ha capito che era il luogo dove restare. È la città che ha adottato e che gli ha dato moltissimo”.

Dopo la mostra sulle sue sfere stavate già preparandovi al centenario: se lo aspettava?

“Certo. E il progetto va avanti, è già in cantiere. Sarà una sorpresa. D’ora in avanti la Fondazione continuerà a camminare da sola, ma seguendo il suo spirito”.