GABRIELE MORONI
Cronaca

Addio a Jess, bandito che non sparò un colpo

Milano, è morto a 90 anni Arnaldo Gesmundo. Nel ’58 fu uno dei sette uomini d’oro della clamorosa rapina di via Osoppo

Arnaldo Gesmundo uno dei banditi della rapina di via Osoppo Milano 27 febbraio 1958

Milano, 20 aprile 2020 - Scompare uno dei grandi protagonisti della cronaca nera milanese, uno dei sette ’uomini d’oro’ della clamorosa rapina di via Osoppo. Arnaldo Gesmundo avrebbe compiuto 90 anni il 28 maggio. Non è stato il Coronavirus a portarlo via ma una brutta infezione che aveva finito per sdoganare i globuli bianchi nel sangue. Arnaldo , il ragazzo di via Padova che diventa ’Jess il bandito’. Figlio e insieme fra gli ultimi epigoni della ’ligéra’, la vecchia mala in qualche modo rispettosa di un codice mai scritto che imponeva per prima cosa il rispetto della vita. La madre ha le doglie in piazzale Loreto e lo mette al mondo. Cresce in via Padova. Vita di strada nella Milano del dopoguerra. I primi furti. Gli assalti alle fortezze del denaro, le banche, i furgoni portavalori. Tutto raccontato nel libro scritto da Gesmundo con Matteo Speroni, edito da Milieu. Fino a quella specie di apogeo, di spartiacque nella storia malavitosa rappresentato da via Osoppo.

Milano, mattina del 27 febbraio 1958, non sono ancora le 9.30. In sette, tute blu da operaio: Arnaldo Bolognini, Eros Castiglioni ’il play boy’, Enrico Cesaroni ’il droghiere”, Ugo Ciappina (l’unico rimasto vivo), Luciano De Maria, Arnaldo Gesmundo ’Jess’, Ferdinando Russo ’Nando il terrone’. Ex partigiani, ex carcerati, rapinatori di professione. Il furgone sorpreso tra via Osoppo e via Caccialepri, speronato con un camion. Trasporta oltre 500 milioni in titoli e assegni (di cui i banditi si liberano) e 115 milioni in banconote da 5 e 10mila lire. Non un colpo esploso. Solo uno della banda gargarizza ’ta-ta-ta’ come un mitra che spara. Un’auto è in attesa, a motore acceso, per la fuga. Tutto in tre minuti.

Accade che le tute vengano gettate nelle acque dell’Olona, in via Roncaglia, in un involto che contiene anche alcune delle armi usate per la rapina. Pochi giorni dopo quel tratto viene prosciugato e un curioso scopre l’involto. Attraverso l’etichetta delle tute la polizia risale ai venditori e da loro ai banditi. Vengono tutti arrestati, processati e condannati a pene che vanno da nove a vent’anni. Raccontava Arnaldo-Jess: "L’idea è venuta parlando di rapine e di Stalin che faceva le rapine. Intanto dall’America arrivavano le notizie di questi grandi colpi ai furgoni portavalori. E’ stato difficile trovare gli uomini e metterli assieme, un lavoro di mesi e mesi. Per dei mesi ho seguito in Vespa gli spostamenti del furgone. E’ andata come è andata. Senza violenza anche quella volta. La guardia che era stata disarmata da Bolognini è rimasta ferita non per una martellata in testa ma dalle schegge di un vetro del furgone, rotto con un martello. Mentre operavamo, mi si è avvicinata una signora. ‘Andate a lavorare’, mi ha detto con un tono di rimprovero. ‘Guardi, ho risposto, che io sto lavorando’. L’ho rivista cinquant’anni dopo, sempre in via Osoppo. Un bel caso".

«Senza violenza anche quella volta". Era la cifra di un’epopea d’antan. Diceva Gesmundo: "Quella di oggi è criminalità. Noi eravamo mala e non eravamo assolutamente criminali. Anzi, si faceva di tutto per prevenire il sangue, il ferimento, l’omicidio. Non avrei mai sparato. Perché avrei dovuto farlo? A che scopo? A noi interessavano i soldi e basta. La ‘ligéra’ ci aveva dato una sua morale. Se si vuole, eravamo dei romantici. Quelli della polizia li disarmavamo e finiva lì. A Prato, era il 1957. Mi sono presentato davanti a una banca vestito da fioraio e con un grosso mazzo di fiori. Ho detto che dovevo consegnarlo al direttore. Quando me lo sono trovato davanti, ho tirato fuori il mitra che avevo nascosto sotto i fiori. Fuori mi aspettava il mio compagno, che intanto aveva disarmato il poliziotto di guardia". ’Jess’ parlava così, con un velo di malinconia, sotto gli occhi di Apollonia, compagna di una vita difficile.