L’architetta a partita Iva: “licenziata” (o quasi) ogni volta che sono rimasta incinta

Serena, milanese, 41 anni e due figli: “Nel primo studio mi dissero che potevo tornare poi non risposero più. Nel secondo un titolare smise di parlarmi quando seppe che ero in gravidanza”

Serena Baragona mamma e architetto (Foto di Francesco Alesi per Save the children)

Serena Baragona mamma e architetto (Foto di Francesco Alesi per Save the children)

Milano – Architetto e mamma. Una mamma equilibrista. Serena Baragona ha 41 anni, due figli di cinque e otto anni, e ha sempre lavorato negli studi milanesi, con la sua partita Iva.

Com’è andata con la prima gravidanza?

"Ho lavorato fino all’ultimo per uno storico studio milanese, in cui mi trovavo benissimo. Quando ho comunicato la mia gravidanza ho avvisato che mi sarei fermata solo per la maternità obbligatoria. E ho chiesto delucidazioni sul rientro, anche perché avevo un muto da pagare. Mi avevano assicurato che il mio posto non era per nulla in discussione, che se avessero dovuto “tagliare” ci sarebbero state altre figure, meno essenziali. Mi sono assentata cinque mesi: è stata una bella maternità, intensa, ma avevo anche voglia di tornare al lavoro. A una settimana dal rientro ho scritto la mail, avvisando che - come da accordi - sarei tornata i primi di giugno".

Risposta?

"Nessuna. Così mi sono presentata in ufficio col bambino, per capire. E mi sono sentita dire che non avevano più bisogno di me. È stato traumatico. Anche il mio compagno è libero professionista, fa il fotografo. Il lavoro, si sa, è sempre flessibile. Ma vederselo venire meno così, di punto in bianco, dopo che mi avevano dato garanzie è stato un colpo. Ho ribadito al titolare dello studio che non solo avevo un mutuo, ma anche un figlio da mantenere. Non mi aspettavo un trattamento così".

Nessun ripensamento?

"Nessuno. Ma per fortuna ho trovato un altro posto: ho iniziato lo stesso giorno in cui avevo programmato il rientro".

Com’è andata tre anni (e uno studio) dopo?

"Altra delusione. Già alla comunicazione della gravidanza: il titolare da quel momento non mi ha più parlato. E mi dava da fare sempre meno cose, me le dovevo trovare io. Collaboravo più con i soci di minoranza. Vado in maternità obbligatoria e, poco prima del rientro, avviso che sarei tornata il giorno “x”, come pattuito. Mi risponde di non darlo per scontato. Per fortuna i soci di minoranza non erano d’accordo con lui: sono tornata a lavorare con loro. Ma a ottobre sono andata via io. Ho cercato un ambiente diverso".

Trovato?

"Sì, per fortuna. Nello studio in cui lavoro adesso siamo tutte donne. L’impostazione è differente. La titolare ha la mia età e due figli. Lavoriamo tutte tanto ma siamo flessibili, ci aiutiamo tra noi quando ci sono riunioni a scuola, o problemi. E la titolare si sta anche muovendo per sistemare i contratti del nostro settore".

Lavoro e famiglia. Per lei non è mai stato un aut aut?

"Non avrei mai potuto rinunciare all’uno o all’altra, non solo perché non posso permettermi di non lavorare. Anche il mio lavoro fa parte di me. Certo posso farlo solo perché ho dei nonni, dei super-nonni, che mi danno una mano. Perché i servizi per la prima infanzia sono carissimi, è difficile entrare nel pubblico. Credo che l’unico modo di aiutare le mamme lavoratrici sia investire di più in servizi di supporto alla famiglia".

Anche per “stoppare” il crollo demografico e le dimissioni delle donne?

"Per quello servirebbe pure un cambio di mentalità. La cosa assurda è che, intorno ai 30 anni, ho fatto tantissimi colloqui. E tutti mi chiedevano se avessi figli o se li volessi. È illegale di fatto, ma succede ancora. Si pensa che dopo la maternità si sia più distratti, che si dedichi meno tempo al lavoro. Macché. Io credo che si acquisiscano abilità, una maggiore organizzazione. È come se la mente viaggiasse più veloce, se non altro per necessità, altrimenti non sopravvivi. Ma sono abilità utilissime sul lavoro e questo andrebbe finalmente considerato".

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