
«Che cosa può fare l’Italia, e la Lombardia, per aiutare l’Ucraina? Aprire le porte delle strutture sanitarie per la cura e la riabilitazione di chi ha subito traumi fisici e mentali a causa della guerra". Yuri Shkurlei, paracadutista dell’esercito ucraino con alle spalle dieci anni di combattimenti, ha fatto tappa a Milano dopo un periodo di riabilitazione in Francia, dove vivono l’ex moglie e la figlia, per le conseguenze di un bombardamento aereo russo nella zona di Izjum, nella parte orientale del Paese devastato dalla guerra. Oggi ha lasciato l’Italia per tornare al fronte, e lancia un appello per creare una sorta di “corridoio sanitario“ per poter curare in Italia feriti di guerra e persone con problemi mentali dovuti a un interminabile conflitto, dai combattimenti iniziati nel 2014 fino all’invasione russa del 24 febbraio 2022. Una situazione d’emergenza che, inevitabilmente, sta mettendo a dura prova il sistema sanitario ucraino.
Appello condiviso anche dal Consolato ucraino a Milano, che ha già avanzato una proposta formale alla Regione Lombardia chiedendo di valutare l’apertura di un canale. Intanto eccellenze della sanità lombarda stanno già collaborando al progetto avviato dal ministero della Salute, che ha messo a disposizione del Governo di Kiev risorse ed esperti per sostenere le strutture dedicate alla cura dei feriti militari e civili. "Noi siamo rimasti sotto i bombardamenti russi, le bombe esplodevano ovunque, ci sono stati morti e feriti", racconta Shkurlei, 50 anni, accompagnato dall’avvocato milanese Piero Porciani, che collabora con il consolato.
"Le conseguenze di un bombardamento sono difficili da immaginare per chi non lo ha vissuto – prosegue –. Dopo le esplosioni a Izjum ero stordito, non ricordavo più neanche il codice della mia carta di credito. Un commilitone, per lo choc dovuto alle bombe, si è messo a camminare su un campo minato, senza rendersene conto. Ho perso tanti amici in guerra, e tanti sono rimasti gravemente feriti e hanno riportato conseguenze a livello mentale".
Shkurlei, da civile, gestiva un’attività nel settore del turismo a Kiev. È nell’esercito dal 2014, da quando è scoppiata la guerra nel Donbass tra i separatisti filorussi e le forze governative ucraine. Quasi dieci anni al fronte, vivendo tutte le drammatiche fasi di un conflitto senza fine. Non ha mai incontrato foreign fighter italiani, inquadrati nella brigata internazionale di volontari. Solo un francese, che "abbiamo messo a fare l’autista, perché per combattere ci vuole addestramento e preparazione". Nessun contatto anche con europei che, invece, hanno scelto di combattere dalla parte opposta della barricata.
"I bombardamenti russi sono brutali – spiega il paracadutista – e la situazione in questo momento è critica. Se avessimo a disposizione un’aviazione seria saremmo in grado di vincere la guerra nell’arco di due settimane. I russi si sono dimostrati un “leone di carta“, ma tanti Paesi hanno ancora paura di loro o non vogliono che la guerra finisca. I prigionieri russi che ho incontrato sono come zombie, continuano a ripetere la loro propaganda. È come un bar dove tante nazioni sono sedute intorno a un tavolo: tutti bevono, e a un certo punto il russo si ubriaca e inizia a picchiare. Solo l’ucraino – prosegue – ha il coraggio di alzarsi e rispondere. Noi siamo pronti a tutto per vincere la guerra, e anche l’Italia può fare molto per sostenerci".
Un sostegno che potrebbe passare anche attraverso quel “corridoio sanitario“ per la riabilitazione di feriti e persone con disturbi psichici proposto dal Consolato. Una situazione drammatica fotografata anche dai numeri. Più di 10mila Ucraini hanno bisogno di protesi e riabilitazione; tra gli oltre 8.000 militari feriti, il 70.5% ha subito importanti ferite agli arti, il 5.2% ha subito amputazioni, in maggior parte causate da esplosioni. Il 18% ha subito più di un’amputazione.
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