LORENZO BISES
Cronaca

Amarcord della moda che fu. Biki e la “nuova “ Maria Callas. L’arte dimenticata di Brunetta

Viaggio tra i luoghi e i personaggi che hanno definito la città come capitale dello stile. Da via Sant’Andrea e l’atelier dov’era di casa la Divina, fino ai disegni di Ferrè in via Tortona . .

Tac, tac, tac, tac. Risuonano nervosi i tacchi delle habitué della moda sul porfido meneghino. Aspettano o hanno fretta ma sempre con la punta o con il tacco ritmano gli impegni stressanti. Sono gremite le viuzzole del quadrilatero, gli snodi secondari e addirittura quelle gincane che solo i tassì più abili sanno navigare. La settimana della moda è un fascio di luce puntato verso il futuro, un punto interrogativo del pubblico ed esclamativo degli stilisti, coloro che si affannano in previsioni e scongiuri uscendo prima imbarazzati poi in trionfo una volta conclusa la défilé.

Ma Milano è una costellazione dell’universo moda anche (e mi vien da dire soprattutto) per quei suoi dimenticati angoli che andrebbero raccontati di più a chi orbita tra gli indirizzi del calendario. Solo così i belgi, i francesi, i coreani o gli americani possono rendersi conto che questa umida e prosperosa città che li accoglie porta con sè il culto della bellezza da secoli. Il saper vestire è solo un’innata conseguenza. Non c’è volta che non passi da Via Sant’Andrea e non guardi la targa al civico 15 a ricordare che lì visse Biki, pseudonimo di Elvira Leonardi, stilista che ha posto insieme a Germana Marucelli e Jole Veneziani le fondamenta del Made in Italy negli anni Cinquanta. Con ardita modernità iniziò a confezionare lingerie e biancheria intima (D’Annunzio da lei si riforniva per viziare le numerose amanti inoltrando dei fastidiosi pagherò) fino alle prime collezioni di abiti da sera e da cocktail destinati alle dame dell’alta società tra cui Maria Callas. Biki la trasformò da sciatta a signora nel giro di pochi mesi con una manciata di tubini e post dieta ferrea, un bel vitino di vespa. A notare i sortilegi della moda all’epoca c’era l’affilata e pungente scrittura di Camilla Cederna, troppo spesso dimenticata anche se ha sentenziato e ritratto capricci, vizi, affanni e sotterfugi di una Milano tutta da ridere e vivere. Da quella casetta gialla di via Brera nessuno passava indenne, ogni storia prendeva vita sui tasti di una consumata Olivetti mentre gli amati gatti miagolavano e le facevano compagnia.

Era la Milano delle sartorie e delle sartine, microcosmi di sapienza manuale che il più delle volte rimangono nel lessico famigliare di chi ricorda la scelta delle stoffe (di Galtrucco, Asnaghi o il Vecchio Drappiere di via Meravigli), la presa misure, le prove e infine la sospirata consegna. Qualcuno è diventato un nome nel mondo, come la Curiel, ancora oggi il suo atelier appollaiato su Montenapoleone riceve e drappeggia eleganti madame come un tempo ma certamente le tendenze che si respirano nel vicinato vanno, ahinoi, in tutt’altra direzione. A tal proposito, due passi in là e si trova un altro indirizzo in cui la moda entrava, usciva e sghignazzava: via Bagutta 1. Mentre Mila Schön disciplinava le modelle come un orchestrale le note e preparava nottetempo gli ultimi ritocchi della sfilata, al piano di sopra Brunetta disegnava e scarabocchiava migliaia di fogli. Non c’è collezione, couturier, volto noto o presunto tale che questa straordinaria disegnatrice non abbia abbozzato nella sua lunga carriera. Cappelli, guanti, velette, pois, righe, colori tenui o fluo, Brunetta ha osservato il mondo della moda e l’ha restituito a tinte forte, Milano dovrebbe ricordarla di più.

Si ricorda invece, grazie al Politecnico di Milano, l’architetto stilista Gianfranco Ferrè a cui è dedicato il Centro di ricerca di via Tortona. Qui raccolti e divisi per stagioni tutti i bozzetti appuntati personalmente da lui con il tratto che lo distingueva. Le forme allungate, l’orecchino come baricentro d’eleganza, lo studio architettonico dei volumi su spalle e gonne.

La settimana della moda profuma di novità, di visione e tutti vorremmo il mai-visto ma siamo circondati da muri che parlano di antiche vestigia, di sguardi già indagati e son lì a ispirare epoca dopo epoca. E di questi tempi un bel ripasso della storia e del costume italiano secondo Rosita Levi Pisetzky (almeno il volume IV e V) alla Biblioteca d’Arte del Castello Sforzesco potrebbe solo che giovare.