Milano, alpino morto in incidente misterioso: il ministro chiede commissione d'inchiesta

Il Parlamento riaprirà le indagini sul misterioso incidente di vent’anni fa in cui morì Roberto Garro

OSTINATI Annamaria e Angelo Garro genitori di Roberto si battono per scoprire cosa davvero sia successo al figlio e ai suoi compagni

OSTINATI Annamaria e Angelo Garro genitori di Roberto si battono per scoprire cosa davvero sia successo al figlio e ai suoi compagni

Milano, 7 dicembre 2018 -  Promessa mantenuta. Il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, l’aveva detto incontrando i genitori: «Riapriremo il caso». E ieri ha chiesto pubblicamente di insediare una commissione d’inchiesta parlamentare sulla fine di Roberto Garro, alpino milanese diciannovenne che vent’anni fa morì in Friuli con tre commilitoni mentre rientrava in caserma, su un’auto che si schiantò frontalmente con un camion. Un incidente con molte stranezze mai chiarite. «Ho invitato il presidente della Commissione Difesa della Camera Gianluca Rizzo – ha scritto il ministro in un post su Facebook – ad esplorare ogni strada possibile affinché il Parlamento possa fare piena luce sull’accaduto, inclusa l’istituzione di una commissione di inchiesta sul caso». «Confermo che la sensazione avuta era di una donna sensibile e attenta al nostro problema», ripete adesso Angelo Garro, il papà di Roberto. A metà novembre Trenta aveva ricevuto al ministero i genitori dell’alpino «e insieme abbiamo affrontato alcuni aspetti della vicenda che non appaiono del tutto chiari. Ogni madre e ogni padre – ha aggiunto ora il ministro – hanno il diritto di conoscere la verità sul proprio figlio e lo Stato ha il dovere, politico e morale, di assistere una famiglia alla ricerca di questa verità».

«La richiesta di verità sulla tragica morte di quattro alpini avvenuta a Gemona del Friuli il 9 giugno 1998 mentre rientravano dalla libera uscita, non può che trovare nel Parlamento attenzione e sensibilità», ha risposto a stretto giro di social il presidente della Commissione Difesa della Camera. «Roberto Garro, Giovanni Lombardo, Andrea Cordori e Mirco Bergonzini erano quattro giovani alpini che avevano davanti a se tutta la vita. I genitori di Roberto Garro, con ostinazione, non si sono rassegnati alle verità ufficiali, ricostruendo fatti ed avanzando legittime domande. Oggi quelle domande hanno trovato ascolto nella dottoressa Elisabetta Trenta, ministro della Difesa, che invita il Parlamento ad assumere una propria iniziativa sulla vicenda. Ho trasmesso, per competenza, la richiesta avanzatami al presidente del gruppo parlamentare del M5S Francesco D’Uva per le opportune iniziative».

È solo un primo passo, naturalmente. Ma ricorda in qualche modo la vicenda del parà Emanuele Scieri, dopo un ventennio vittima ormai riconosciuta di un tragico episodio di “nonnismo”. Angelo e Annamaria, i genitori di Roberto, si battono da vent’anni per chiarire i lati oscuri di quell’incidente: la polizia stradale che descrive a verbale lo scontro «con effetti esplosivi» visti i segni rimasti sui corpi di quei ragazzi, l’autista bosniaco del tir che però viene rimandato subito in patria, nessuna perizia, nessuna indagine seria. In compenso, funerali celebrati in fretta e furia nel cortile della caserma e quando finalmente i genitori ottennero la riesumazione del cadavere, un paio d’anni dopo, la sorpresa di constatare che il figlio era stato seppellito nudo e sporco di fango avvolto in un sacco di plastica senza alcuna umana pietà. Ed era privo delle cornee.

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