MASSIMILIANO SAGGESE
Cronaca

Ahmed, fine di un incubo. Fantasma in Italia da 3 anni, il fratello: “Pensavamo fosse morto”

La storia del 22enne egiziano trovato su una panchina di Zibido San Giacomo. Dall’inferno in Libia alla vita per strada. Salvato dalla rete di solidarietà tra cittadini

Ahmed (al centro con la maglia viola), insieme Magdy Reiad (a sinistra) e alcuni cittadini che lo hanno aiutato

Ahmed (al centro con la maglia viola), insieme Magdy Reiad (a sinistra) e alcuni cittadini che lo hanno aiutato

Rozzano (Milano), 14 luglio 2025 - Dall’inferno libico a una panchina di Badile, frazione di Zibido San Giacomo: salvato grazie alla solidarietà di un’intera comunità. Ahmed, 22 anni, egiziano, sopravvissuto ai lager libici è in Italia da tre anni, ma di lui la sua famiglia non aveva più notizie da quando aveva deciso di partire. È stato soccorso da alcuni cittadini del piccolo centro milanese. Decisivo l’intervento della rete di volontari e istituzioni locali. Ora è con i parenti a Cinisello Balsamo.

Lo hanno trovato seduto su una panchina, disorientato, spaventato, con lo sguardo perso nel vuoto. Non parlava con nessuno, non sapeva dove si trovava né perché fosse lì. Sembrava invisibile, come se avesse attraversato anni di buio. E in effetti è proprio così. Ahmed tre anni fa era partito con degli amici per raggiungere l’Italia. Ma il suo viaggio si è trasformato in un incubo: catturato in Libia, è stato imprigionato in un lager dove ha subito violenze e torture. “La sua storia - spiega Yuri Corisio allertato da Fabio Calamucci, altro cittadino di Zibido - è stata ricostruita insieme al fratello che vive in Egitto. È sopravvissuto, è riuscito a salire su un gommone e ad arrivare in Italia. Ma da allora, a causa dei traumi subiti, ha vagato senza meta, perdendo la memoria e ogni punto di riferimento. Fino a quando, venerdì, è stato notato da alcuni abitanti di Badile”.

Il ritrovamento e la catena di solidarietà sono cominciati alle 17 di venerdì, quando alcuni cittadini hanno segnalato sul gruppo WhatsApp del paese la presenza di un ragazzo solo e in evidente difficoltà. Era sporco, tremava, parlava a fatica. All’inizio si è pensato fosse solo un problema di lingua. Si sono moltiplicati i tentativi di contattare la Polizia Locale e i Carabinieri, ma nessuno è potuto intervenire. Così, senza aspettare oltre, è scattata una vera e propria mobilitazione spontanea. I cittadini hanno deciso di agire in autonomia: gli hanno portato cibo, una coperta, e lo hanno fatto sedere su una panchina, cercando di capire come aiutarlo. Un cittadino coinvolto nella rete di solidarietà ha contattato un amico, che a sua volta ha raggiunto Ahmed per provare a offrirgli supporto diretto. «Appena sono arrivato - racconta - mi ha offerto parte del cibo che gli era stato donato. Quel gesto, così semplice, mi ha fatto capire subito che non era un senzatetto qualsiasi. Era una persona profondamente segnata».

La svolta grazie alla comunità di Rozzano. Capendo la gravità della situazione e non riuscendo a ottenere risposte immediate dalle istituzioni locali, viene contattata Lucia Galeone, assessora del Comune di Rozzano, che attiva una rete di emergenza. Nel giro di pochi minuti entra in scena Magdy Reiad, rappresentante della comunità musulmana di Rozzano. Magdy, egiziano anche lui, si precipita sul posto. Con il suo arrivo, la barriera linguistica cade. Ahmed comincia finalmente a parlare, si apre. Racconta di essere stato in Libia, della prigionia, delle botte, della fuga. Magdy riesce addirittura a rintracciare suo fratello, ancora in Egitto, e organizza una videochiamata.

Quando si rivedono dopo tre anni, entrambi scoppiano in lacrime. Temevano fosse morto. Il fratello conferma che Ahmed era dato per disperso da tempo. Mostra le sue vecchie foto: il viso è irriconoscibile rispetto a oggi, devastato dal trauma. Spiega che le sue condizioni attuali sono il risultato diretto delle violenze subite nei centri di detenzione libici. Nel corso della notte viene rintracciato un amico di famiglia che a Cinisello Balsamo, uno dei pochi che aveva condiviso con Ahmed parte del viaggio e della prigionia. L’uomo si rende immediatamente disponibile ad accoglierlo. Intorno a mezzanotte, un piccolo gruppo di volontari accompagna Ahmed in auto dove ora si trova in un contesto protetto e familiare. Da qui potrà iniziare un percorso di recupero e di regolarizzazione. Di ritorno alla vita.