
Nella foto distribuita dalla Polizia, Alexander Boettcher e Martina Levato (Ansa)
Milano, 17 febbraio 2015 - Martina spopola. Cioè: è popolare, riceve lettere, di ammirazione e conforto, di tenerezza. Riceve avance. «Sei dolce e sei bella». Niente paura dell’acido. O di scottarsi volando troppo vicino alla fiamma di un’Erinni vendicatrice che, da quanto la storia ci racconta, consegna al suo signore e padrone le facce scarnificate dal muriatico di chi l’ha toccata e baciata. Uomini presenti e da tempo passati. E gli uomini futuri? Roba da scomodare i migliori, un Eschilo, un Sofocle, gli unici capaci di srotolare e dare senso al tortuoso cammino di azioni, reazioni, amore, odio, riti e vendette.
O, forse, sarà quel senso di ragguardevole distanza di sicurezza che danno le barre dietro cui lei alla fine è finita, saranno i contatti necessariamente virtuali, o il fascino della trasgressione o, peggio, la ribalta mediatica, a far avanzare un nugolo di spasimanti della bocconiana acidificatrice. Lettere alla cella 3 della sezione femminile di San Vittore: cominciano ad accumularsi piano piano quasi subito dopo i fatti, quindici giorni dopo quel 28-29 dicembre in cui Martina Levato, ormai a notte fonda, viene intercettata dalla polizia a casa, a Bollate, mentre sta preparando una borsa bianca da viaggio (e chissà dove voleva andare). Intanto il suo amante, Alexander Boettcher, dal cui telefonino si risale a lei, era stato diverse ore prima placcato dalla vittima sua e di Martina, Pietro Barbini.
Prima una manciata di lettere, non più di cinque, da detenuti, tutti uomini, di altri istituti penitenziari. Poi il giro si è allargato ad altri, sotto gli occhi appena stupefatti degli agenti di custodia che a tutto sono abituati, ma forse non al corteggiamento senza rete di una acidificatrice. Perché nessuno scrive: che diamine hai combinato, ragazza? Scrivono: «Sei una ragazza dolce». «Avrai avuto i tuoi motivi, se lo hai fatto», il karma giustificatorio. «Sono solidale con te». «Sei bella». «Ci sentiamo? Mi scrivi?». Frasi che si intervallano a richieste di contatto via lettera, e magari di incontro, appuntamenti futuri. E Alexander, il re, “The King”, lui, quello alto, biondo, riccioluto come un putto, e tecnicamente bello, l’italo-tedesco macho palestrato, che fa? Raccoglie dalla sua bella le briciole della di lei popolarità. Lei gli raccontava, via lettera (il visto di censura è satto appena revocato) e a voce (nei colloqui a cui sono autorizzati) degli altri che la corteggiano e del suo successo. Il solito gioco, riprodotto in carcere, ma senza acido. E con un contentino, ad Alexander il bello: «Le mie compagne, le detenute, dicono che tu sei bellissimo...». Speriamo che The King si accontenti. marinella.rossi@ilgiorno.net