
Alpini (Ansa)
Milano, 6 maggio 2019 - In tempo di pace sui fronti di guerra. In guerra contro le devastazioni causate dallo scatenarsi della natura. Sulle strade metropolitane per la sicurezza dei cittadini. La storia degli alpini si fa sempre più lunga, entra nei libri che scrivono la loro storia, ultimo quello di Alfio Caruso, “Una lunga penna nera. Storia di eroismo e fratellanza” (Piemme).
È il 1951. La ricostituzione del corpo alpino segue quella, lenta, dell’esercito italiano, che il trattato di Pace di Parigi ha limitato a 185mila uomini, più 65mila carabinieri. Soltanto con l’adesione dell’Italia al Patto atlantico, nel 1949, le maglie del reclutamento si allargano. Nel novembre 1951 molti alpini chiedono la licenza straordinaria per accorrere nel Polesine fagocitato dall’alluvione. Nel giugno del ‘57 alluvione in Valle Varaita, nel Cuneese: questa volta l’intervento delle penne nere è guidato dai comandi. Nell’ottobre del ‘63 il 6° e il 7° artiglieria scavano, si prodigano, aiutano a Longarone, Erto, Casso, i paesi cancellati dalla frana nel bacino del Vajont. Il 6 maggio 1976 un terremoto del 9° grado della scala Mercalli devasta il Friuli, la Carnia e la Val Resia, nelle province di Udine e Pordenone. Intervengono tutti i reparti della Julia. Gli alpini hanno il cuore spezzato: nel sisma sono morti 33 commilitoni, ci sono caserme distrutte. Dalla sezione Ana di Udine accorrono le prime squadre. Il presidente Franco Bertagnolli predispone un piano di aiuti che coinvolge tutte le sezioni della penisola e i 240mila iscritti.
Il disastro della Val di Stava nell’85, l’alluvione in Valtellina due anni dopo e quella in Piemonte nel ‘94. Alpini in divisa e volontari Ana ancora in prima linea. È l’inizio degli anni ‘90. Nel ‘91 gli alpini sono presenti nel Kurdistan iracheno al termine della Guerra del Golfo. Sono anche in Sicilia con l’operazione Vespri siciliani, in Sardegna (Forza Paris), in Calabria (Riace) impegnati per sicurezza e ordine pubblico. Nel ‘93 ecco la Julia e la Taurinense nel Mozambico dilaniato dalla guerra civile. In Jugoslavia, ancora per una estenuante guerra civile. Nel Kosovo per l’insurrezione. Le penne nere rimangono in Kosovo e Bosnia Erzegovina fino all’inizio del nuovo secolo. È un intervento che per gli uomini in divisa e per l’Associazione alpini significa campi di accoglienza da rifornire, ospedali da impiantare, scuole da riaprire. Significa assistenza ai civili, alle donne, ai tanti orfani. Significa dialogo.
Si chiamano missioni di pace, ma si entra in scenari di guerra. Nel maggio del 2002 una compagnia del Monte Cervino è in Afghanistan, a Kabul. Nel gennaio dell’anno dopo, per l’operazione Enduring Freedom, entra in Afghanistan il 9° della Taurinense, 400 militari a Khwost e altri 600 chiamati a proteggere l’aeroporto di Kabul. Poi, nella missione Isaf, a sostegno del governo liberamente eletto, arrivano sia le penne nere della Tarurinense sia quelle della Julia. Quest’ultima esce per la prima volta nel secondo dopoguerra con le sue cinque bandiere di guerra. Scontri a fuoco, agguati, le micidiali mine artigianali. Il 9 ottobre 2010, nel distretto del Gulistan, salta per aria un blindato Lince con cinque alpini del 7°: quattro muoiono, uno è ferito. Julia e Taurinense lamentano una decina di vittime. Le due brigate sono ancora in Kosovo, in Bosnia, in Erzegovina, in Macedonia, in Libia dopo la sanguinosa caduta di Gheddafi. Cinquecento alpini del 3° nel 2017 vengono mandati a Mosul, in Iraq, dove l’Isis ha preso di mira la diga da cui si disseta di buona parte del Paese.