Nelle case canile, vite da accumulatori seriali: boom di casi nel Milanese

Pensano di curarli ma li maltrattano tra malattie e degrado

Cani in un appartamento

Cani in un appartamento

Milano, 12 ottobre 2019 - Quando Giovanni Armando Costa, tecnico della prevenzione per Ats ed esperto in disturbi da accumulo, ha bussato alla porta di un bilocale in zona Sud Milano, si è trovato davanti 30 cani, molti di grossa taglia. Giravano tra le piccole stanze dell’appartamento. La proprietaria, una donna di 46 anni, viveva sotto lo stesso tetto con la figlia disabile, costretta a occuparsi degli escrementi che riempivano la casa. «L’aria era irrespirabile – ricorda Costa –, il branco abbaiava per nulla e i latrati si percepivano dalla strada».

Un'altra volta, il tecnico è intervenuto in un appartamento dove un anziano viveva con 40 gatti. «Molti felini sono risultati poi malati – ancora Costa –. Non c’è stata alternativa: sono stati soppressi». E poi, c’è il caso di cani, anche di razza, che vivono in una famiglia di accaniti fumatori, costretti a respirare il fumo in ambienti completamente stipati di oggetti, cianfrusaglie, rifiuti. Sì, perché spesso gli accumulatori di animali soffrono anche di disposofobia: ammucchiano oggetti. Si creano così ambienti privi di igiene, dove le persone condividono gli ambienti con decine di animali, sepolti vivi. Una patologia, un problema psicologico: le persone che ne soffrono pensano di prendersi cura degli animali, ma non fanno altro che maltrattarli, spesso senza accorgersene, come spiega la psicologa Caterina Costa. Disagi anche per i vicini, da cui spesso partono le segnalazioni (allo 02.85787670). La cosa peggiore è «cercare di essere troppo comprensivi con queste persone o giustificare i loro comportamenti – afferma l’esperto –: equivale a diventare complici di un meccanismo che arreca danno agli animali, all’accumulatore e agli altri».  Il fenomeno colpisce in maniera trasversale, anche se sono principalmente donne sole e anziane soffrire del disturbo (mentre gli accumulatori di cose sono soprattutto uomini). Alla base ci sono problemi psicologici, disturbi della personalità. Tenere tanti animali in casa viene visto da chi soffre della patologia come desiderio di sentirsi utile, senza la consapevolezza di commettere un reato penale come il maltrattamento. Una volta liberati dalle loro prigioni, grazie a interventi di Ats in sinergia con la polizia locale e i veterinari, alcuni finiscono in canile, i più fortunati vengono adottati, ma per molti è troppo tardi e le condizioni sono già disperate. «Bisogna dedicare più attenzione a questo fenomeno – lancia l’appello Costa –, merita più forze in campo e un aiuto concreto per chi ne soffre, anche dopo che abbiamo liberato le case. Per questa patologia il rischio recidiva è altissimo». 

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