
Marilyn Manson
Milano, 19 giugno 2018 - L'antichrist Superstar che va in tv da Paolo Bonolis e fa i selfie con Gianni Morandi è un segno di questi nostri tempi confusi. Confusissimi, come denuncia pure quell’«Heaven upside down» che Marilyn Manson presenta questa sera sotto la luna dell’Ippodromo Snai nella giornata inaugurale del Milano Summer Festival. E lui che continua a definirsi «una leggenda, non una favola» torna a San Siro per provocare, riacciuffando l’industrial-metal che l’aveva reso ricco e famigerato accantonando il compositore Tyler Bates e le nuances rock-blues del predecessore «The pale emperor». «Heaven upside down» è il decimo album del raggelante figuro di Canton, al secolo Brian Hugh Warner, nuovamente in forma dopo l’incidente alla gamba che l’ha costretto sette mesi fa ad esibirsi in quel di Torino su un trono alla Stephen King restituendogli l’allure di quando oltraggiava il mondo del rock con la complicità di Trent Reznor dei Nine Inch Nails o di Michael Beinhorn. «L’idea era quella d’incidere un album che fosse brutale, sporco, evocativo e sexy allo stesso tempo» ha dichiarato Marilyn-Brian a proposito dell’ultima fatica. «Avrei voluto pubblicarlo per San Valentino, perché è una ricorrenza che m’è sempre apparsa abbastanza tragica, poi non ce l’abbiamo fatta, ma va bene lo stesso. “Heaven upside down” è un disco aggressivo, adattissimo ai tempi che stiamo vivendo».
Il repertorio passa da hit immarcescibili come «Irresponsible hate anthem», «mOBSCENE» o l’irrinunciabile cover di «Sweet dreams (are made of this)» degli Eurythmics, a brani recenti come quella «Say10» finita nel mirino dei media americani per il video in cui, tra un passo della Bibbia e l’altro, Manson lascia sull’asfalto un sosia di Trump decapitato. «Ma l’Isis non c’entra nulla e, a dirla tutta, non c’entra nulla neppure il Presidente»<WC>, giura lui. Notevole la band imbarcata l’estate scorsa, a Budapest, in questo Heaven Upside Down Tour, 83 concerti fra Europa e Nordamerica che vedono il «reverendo» accompagnato da Tyler Bates e Paul Wiley alla chitarra (ma nella data londinese a dar loro man forte s’è materializzato sul palco pure Johnny Deep) e Gil Sharone alla batteria.