Il Castello Sforzesco: tre curiosità sul simbolo di Milano

Bistrattato dalla storia e dalle dominazioni straniere, restaurato con l'aiuto dell'intera popolazione, custodisce un bassorilievo osceno: è il Castello Sforzesco, simbolo di Milano.

Fonte: Wikimedia

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Milano, 08 settembre 2016 - Odiato e amato, per secoli il Castello Sforzesco è stato considerato dai milanesi simbolo dell’oppressione straniera e per questo, più volte, i cittadini l’hanno attaccato, saccheggiato e hanno tentato persino di demolirlo.

Solo dopo l’Unità di Italia e la sua destinazione a luogo di cultura, la rocca è riuscita finalmente a fare breccia nel cuore delle persone ed è oggi considerata, assieme al Duomo con la sua Madonnina, un simbolo della città: conosciamola meglio attraverso tre curiosità.

Bistrattato dalla storia

A cavallo fra Quattrocento e Cinquecento, il Ducato di Milano è conteso fra i Francesi, l’Imperatore germanico e gli Sforza. Inizia la decadenza del Castello: nel giugno 1521 la fortezza è in mano ai francesi e la Torre del Filarete, trasformata in deposito di munizioni, esplode provocando danni consistenti alle murature.

Quando Francesco II Sforza, secondogenito del Moro, torna al potere, il Castello ospita le sue nozze con Cristina, principessa di Danimarca: dopo questo sfarzoso evento l’edificio perde definitivamente il carattere di dimora signorile, il Ducato passa nelle mani dello spagnolo Carlo V e il castello diventa la residenza di una guarnigione. Ospita, infatti, una farmacia, un ospedale,  una panetteria, due forni e molte botteghe, un’osteria, una “nevera” per conservare il ghiaccio, vasti depositi e ben due chiese. Le spese per il mantenimento della guarnigione sono a carico dei milanesi: oltre al danno, la beffa.

Passano i secoli e nel 1706 Eugenio di Savoia conquista Milano per conto dell’Imperatore Giuseppe I d’Asburgo. Eppure le sorti del Castello Sforzesco non migliorano: cambia solo la nazionalità degli occupanti, mentre le sale subiscono danneggiamenti e le volte si deteriorano, come anche gli affreschi e le decorazioni a stucco.

Il 9 maggio 1796 nel Castello si contano solamente 2000 soldati di guardia, con a disposizione 152 cannoni, 3000 quintali di polvere esplosiva, 11000 fucili e 100 bovinimucche: Napoleone si avvicina e l’Arciduca Ferdinando I d’Austria ha quindi abbandonato Milano. Un gruppo di milanesi filofrancesi tenta l’attacco dell’odiata fortezza quasi fosse la Bastiglia, ma viene respinto. A fine giugno i francesi destinano la costruzione ad alloggio di circa 4000 uomini, mentre le sale affrescate vengono ormai utilizzate come stalle.

Non proprio originale

Quella che oggi potete ammirare non è dunque la struttura originaria, ma il risultato di una complessa opera di restauro iniziata nel 1893 sotto la direzione di Luca Beltrami: per prima venne demolita la Ghirlanda, la cinta muraria che, munita di due torri rotonde agli angoli e di una strada coperta, difendeva il fronte settentrionale del Castello. In seguito fu la volta della Cavallerizza, una costruzione ottocentesca, mentre vennero riaperte le due porte del Carmine e di Santo Spirito. Rialzati i due torrioni originali, si riporta la Torre di Bona – così chiamata perché voluta da Bona di Savoia, moglie dell’assassinato Galeazzo Maria Sforza -  all’antico aspetto. Solo nel 1905 si riesce a terminare la Torre del Filarete, ricostruita in stile gotico rinascimentale secondo un dipinto di scuola leonardesca, Madonna Lia. Prima di procedere alla ricostruzione, l’architetto produce, nel 1895, un modello in legno di dimensioni reali. La torre ricostruita, dedicata a re Umberto I, viene solennemente inaugurata il 24 settembre 1905.

Tutta la cittadinanza partecipa alla sottoscrizione pubblica per riportare il complesso all’antico splendore: sono anni di lavoro intenso in cui riaffiorano finestre in cotto e tracce degli affreschi di epoca sforzesca. Tornano a splendere gli ori della Cappella Ducale e si riscoprono le decorazioni nella Sala delle Asse e nella Sala del Tesoro.

 La donna impudica

Il museo del Castello Sforzesco custodisce un bassorilievo singolare: fra madonne e condottieri a cavallo, infatti, potrete ammirare una tavoletta raffigurante una donna che si pettina (o secondo altri si rade) il pube. Si trova nella sala numero VI, dedicata ai reperti medievali, ma un tempo la sua posizione era ben altra. Ornava, infatti, uno degli ingressi alla città di Milano, Porta Tosa, divenuta Porta Vittoria dopo l’Unità d’Italia. Il nome Porta Tosa è presto spiegato: in milanese “tosa” vuol dire appunto “ragazza” e quella scolpita è certamente una prostituta: pettinarsi il pube, infatti, era una usanza frequente nel XII fra le donne di strada che serviva a eliminare i pidocchi, ma la sua rasatura era una pena inflitta alle prostitute e alle adultere. Quello che è però inconsueto è l’abbigliamento della donna in effigie: indossa una lunga veste e una corona sotto la quale sono raccolti i capelli, proprio come se fosse una principessa. Per molti la donna impudica è infatti Beatrice di Borgogna, la moglie dell’odiatissimo Federico Barbarossa che nel 1162 aveva messo a ferro e fuoco la città. Per altri, il bassorilievo ritrae Leobissa, l’imperatrice di Costantinopoli che avrebbe negato ai cittadini milanesi l’aiuto per ricostruire la città distrutta dal Barbarossa. Infine, per altri ancora, si tratterebbe di una ragazza di Milano che, all’arrivo delle truppe nemiche di Federico, si era alzata le vesti per distrarre i soldati. La scultura, considerata oscena da timorato Carlo Borromeo divenuto arcivescovo di Milano nel 1566, fu rimossa dalla porta.

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