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Chi dice ciclismo dice Moa: da 50 anni le maglie dei campioni

L’azienda del Mantovano ha vestito Pantani, Indurain e Nibali di Tommaso Papa

Vincenzo Nibali secondo da destra con il suo team Astana

Mantova, 26 agosto 2015 - Castel D'Ario, terra di campioni, anche dell’industria. Il paese a 19 chilometri da Mantova ha dato i natali a Tazio Nuvolari, ma il leggendario pilota automobilistico ha avuto per eredi e concittadini i fondatori di una delle più blasonate aziende legate al ciclismo internazionale. La Moa Sport, abbinata anche al marchio Nalini, forse dice poco a chi non conosce il mondo delle due ruote. Per i ciclisti, però, è un mito assoluto, un’eccellenza tecnologica dell’abbigliamento tecnico, con un palmares da lasciare a bocca aperta. Le sue maglie da qualche decennio vestono gran parte dei campioni delle due ruote: nove vincitori del giro d’Italia, addirittura dodici del Tour de France, sei della Vuelta spagnola, innumerevoli fuoriclasse delle gare su pista, sin da quando si svolgevano al Palasport di Milano o nei velodromi di tutto il mondo. Qualche nome? Indurain, Chiappucci, Pantani, Bugno, Rijs, Ulrich, Valverde, Freie, Basso, Fignon fino a Nibali e a Contador.Claudio Mantovani (nella foto)

A dare il via a questo esempio di creatività tutta italiana sono stati due fratelli, anch’essi campioni sportivi. Vincenzo Mantovani, classe 1941, era un ottimo corridore ciclista: nel ‘64 alle olimpiadi di Tokyo vinse medaglia d’argento nell’inseguimento a squadre. È lui a fondare l’azienda all’inizio degli anni ‘70: in Italia nessuno produce l’abbigliamento per i ciclisti e pistard e Mantovani occupa quello spazio, facendosi aiutare dai tanti atleti che ha conosciuto. Comincia in un garage e per la propria impresa prende in prestito il nomignolo del fratello Claudio, per tutti ‘Moa’, che lo aiuta, e nel frattempo è diventato un campioncino del calcio. Il minore dei Mantovani, che oggi ha 72 anni, gioca come secondo portiere nel Milan di Trapattoni e di Rosato, di Schnellinger e Rivera. L’azienda diventa presto un colosso e veste il Gotha del ciclismo mondiale. Il fondatore muore tragicamente nell’ottobre del 1989 mentre collauda un ultraleggero che vorrebbe commercializzare. Il fratello, però, continua a tirare la volata al gruppo. «Ogni anno costruivamo un capannone nuovo – racconta Claudio Mantovani – ora ne abbiamo per oltre 20mila metri quadri. Facciamo tutto da noi, a cominciare dal tessuto. I clienti di riferimento sono i professionisti, ma anche gli appassionati della domenica danno una mano al fatturato».

I dipendenti sono 300 a Castel d’Ario, e a loro si aggiungono altri 150 addetti dell’indotto. Il fatturato è per l’80% realizzato all’estero. «La concorrenza è feroce – prosegue Claudio, nella foto –. In Corea ho fatto causa ad un produttore che diceva che la Moa era sua. Persino i giudici coreani gli hanno dato torto». E le prospettive? Crisi e produzione cinese a basso costo incidono, ma non vincono la qualità. I prezzi sono legati ai gusti e dalle pretese dei clienti. Nel paese mantovano c’è anche un modernissimo show-room: «Realizziamo su misura le tute dei ciclisti – spiega –. Gli accessori sono infiniti: dai guanti, agli antipioggia, agli antivento, alle sovrascarpe. Come in Formula uno, basta un millimetro in più a fare la differenza. E chi viene da noi sa che non ammettiamo errori».