Frecciarossa deragliato, gli operai: "Il pezzo era difettoso"

L’ipotesi, avanzata in sede di interrogatorio, non convince la Procura. Sul deviatoio avrebbero lavorato in due

L’arrivo degli operai nella sede della Polfer di Piacenza dove sono stati interrogati

L’arrivo degli operai nella sede della Polfer di Piacenza dove sono stati interrogati

Livraga (Lodi), 11 febbraio 2020 - Poche ore prima della tragedia solo due dei cinque operai avevano messo mano in prima persona al deviatoio numero 5. Questo è uno degli aspetti emersi dagli interrogatori di sabato al caposquadra e ai quattro operai di Rfi indagati per disastro ferroviario colposo e lesioni e omicidio colposo per il deragliamento di giovedì alle 5.35 del Frecciarossa 1000 numero 9595 partito da Milano e diretto a Salerno, all’altezza tra Livraga e Ospedaletto, costato la vita ai due macchinisti Giuseppe Cicciù e Mario Dicuonzo e il ferimento di 31 persone tra passeggeri e personale di bordo.

Al pm di Lodi Giulia Aragno, e agli ispettori della Polfer, gli indagati, assistiti dai propri avvocati, avrebbero raccontato di un possibile "pezzo difettoso" come causa del disastro ferroviario: una versione dei fatti che al momento però non convince la Procura di Lodi che ha più volte parlato di "errore umano" alla base del deragliamento. Da ieri è finita nel registro degli indagati anche Rfi, per l’azienda l’accusa è di avere violato la legge 231 del 2001 sulla responsabilità delle società, per i reati commessi dai dipendenti. Sempre ieri sono stati conferiti dalla procura gli incarichi ai consulenti che dovranno occuparsi degli accertamenti irripetibili sul deviatoio trovato in posizione errata e sui convogli deragliati. Si tratta di Roberto Lucani e Fabrizio D’Errico, gli stessi dell’incidente con tre morti del 25 gennaio 2018 a Pioltello (Milano). Intanto, i macchinisti della storica rivista ‘Ancora in marcia’ sono pronti a presentare un esposto alla magistratura e a chiedere al Parlamento di attivare una Commissione d’inchiesta parlamentare per chiedere conto delle modalità di gestione del piano della sicurezza del sistema ferroviario.

«Riteniamo assurda la morte dei colleghi – spiega Enzo Gallori, storico leader del Comu (Coordinamento dei macchinisti uniti) –. Inaccettabile una ricerca della verità che si limiti a individuare capri espiatori facili, magari per scaricare sui lavoratori responsabilità che sono di natura organizzativa. Una delle procedure precauzionali è chiaramente quella del ‘treno apripista’ eliminata da parte di Rfi: cioè, un treno di servizio che aveva lo scopo di controllare la regolarità dei tracciati dopo una interruzione per manutenzione che interessa la sicurezza della circolazione dei treni ordinari. L’altra procedura inaccettabile è quella che prevede di isolare apparecchiature di controllo e sicurezza senza attuare procedure di cautela e controlli incrociati assolutamente necessari". ‘Ancora in marcia’ punta il dito anche contro l’Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria (Ansf) "in quanto deputata al controllo e verifica dei protocolli previsti e applicati dalle imprese ferroviarie e dal gestore dell’infrastruttura".