La psicoterapeuta accende la luce della pace

“Lantern of peace“ è una delle prime fiabe elaborate dai bambini lodigiani nell’ambito dell’iniziativa di fotografia narrativa sociale

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"C’era una volta a Lodi una lanterna che non si spegneva. Se ci mettevi la mano sopra, la candela ti portava a fare la pace e non c’erano più problemi. La chiamarono “Lantern of peace“". É una delle prime fiabe, elaborate dai bambini, che accompagnano il progetto di fotografia narrativa sociale “Una luce per la pace“.

L’idea nasce a Lodi dalla psicoterapeuta e fototerapeuta Laura Belloni Sonzogni, e ha debuttato nella Giornata del rifugiato, dal vivo e con due gruppi Facebook, uno dedicato ai bambini tramite scuole, comunità, Grest (dove si impara anche a costruire lanterne), l’altro agli adulti; ed è anche su Instagram, aperto alla partecipazione collettiva (unaluceperlapace@gmail.com). "La fotografia narrativa ha una forte valenza sociale – spiega Belloni – Le immagini sono potenti, impattanti e inoltre hanno più significati a seconda di chi scatta e di chi guarda. Quando le accompagni a una narrativa (per partecipare, alla foto bisogna allegare un breve testo, ndr) una persona capisce il significato dell’altra e lo affianca al proprio. In questo modo si costruiscono ponti per ragionare sulla pace".

"Il progetto nasce in seno all’associazione di psicologia dell’emergenza “Psicologi per i popoli Lodi“ che si occupa di vittime delle guerre, anche se questo intervento, rispetto a chi è in prima linea, è come se fosse di retrovia, un luogo dove c’è la possibilità di costruire significati che possano lenire la sofferenza e generare accoglienza per chi fugge dalle guerre ma che sia utile anche a tutti noi, sottoposti al bombardamento mediatico di immagini cruenti, per manifestare il desiderio di accoglienza e pace".

La fotografia narrativa deriva dalla fototerapia che Laura Belloni ha utilizzato per decenni al Centro antiviolenza di Lodi. Una tecnica di cui è anche formatrice: "I due corsi, rivolti a psicoterapeuti, si basavano sull’utilizzo della fotografia come strumento di accettazione del proprio corpo. Ho usato sia fotografie proiettive scelte da loro per identificare tristezza, malinconia, gratitudine sia fotografie personali per lavorare sui rapporti emozionali. Con le vittime di violenza usavo immagini che ricoprivo con carta trasparente: spettava loro aggiungere i dettagli mancanti, per lavorare sui traumi e sulla resilienza. Il rischio è far emergere traumi senza saperli gestire. Serve molta preparazione".

L.D.B.