LAURA DE BENEDETTI
Cronaca

Patrizia Patelmo, mezzosoprano e mecenate: "Solo la cultura ci salverà"

L’artista apre la sua casa di Cornegliano proponendo una versione moderna dei salotti ottocenteschi

Patrizia Patelmo (Cavalleri)

Cornegliano (Lodi), 3 novembre 2019 - «In una società sempre più chiusa, solo la cultura può renderci liberi, dandoci la possibilità di metterci in relazione con gli altri. Per questo ho deciso di aprire le porte della mia casa, ripartendo dalle origini, da quei salotti ottocenteschi in cui si ascoltava insieme musica operistica, sorseggiando un tè». Patrizia Patelmo, da mezzosoprano impegnata a esibirsi nei teatri di tutto il mondo, diventa moderna mecenate: dopo 26 anni di carriera e 10 di insegnamento (al conservatorio di Novara, prima in quelli di Vibo, Salerno e Como) ha deciso di fondare, il mese scorso, l’associazione “Salotto d’arte” (presieduta dal marito Gianni Docente) e allestire la rassegna “Domenica in salotto” che ha debuttato il 27 ottobre ma che, a cadenza mensile, ha sei appuntamenti in cartellone; e già si pensa a una rassegna estiva, in giardino.

Artista poliedrica, originaria di Catania ma da 15 anni residente alla Muzza di Cornegliano, nella sua casa, ricca di suoi mosaici e dipinti, oltre che di premi, attestati e immagini di scena, ha rivestito un angolo del salotto col legno, illuminandolo con faretti, per farne un palcoscenico naturale per giovani talenti. «È una sorta di cenacolo – aggiunge –. È previsto un concerto della durata massima di 50 minuti per dare la possibilità a più artisti di esibirsi, anche con fuoriprogramma. Tra il pubblico gente di paese e appassionati, come il pianista Paolo Marcarini o Marco Emilio Camera della Gaffurio. Io preparo anche i biscotti: utilizzo le mani per chetare la mente».

La passione per la musica Patelmo la scopre a 5 anni, iniziando a studiare pianforte (si è poi diplomata in conservatorio in Canto e Pianoforte, ma è anche laureata in ‘Scienza tecnologica del suono’): «Il canto, però, ho dovuto studiarlo di nascosto perché la mia famiglia era contraria «-racconta –. Ho cominciato con canzoni dialettali in un gruppo folk di Acireale in ospedali e presepi viventi. Poi quando avevo 19 anni e mio padre cominciò a darmi 150mila lire per insegnarmi a gestire le mie spese, io li usavo per le lezioni di canto e mi cucivo gli abiti a mano. Provai con Castrocaro. L’amore per la lirica crebbe pian piano, ma vi trovai ciò che faceva per me: il canto, la musica, il ballo, la recitazione, costumi, scenografie, il ‘viaggiare’ in epoche diverse, la genialità del regista. Siamo ‘uno, nessuno, centomila’: dentro di noi c’è tutto e il viaggio attraverso la profondità dell’essere ci permette di tirarlo fuori. Inoltre serve una preparazione mentale, vocale ma anche fisica, bisogna fare tanta aerobica e gli addominali: la tonicità è importante, lo sforzo nel bel canto è pari a una prestazione agonistica».

Gli inizi , comuque, ricorda Patelmo, non sono stati facili: «Quando sono venuta a Milano ho fatto la fame, è stato difficile, ma senza sofferenza non impari niente. E io mi sono impegnata per raggiungere il mio obiettivo – aggiunge la mezzosoprano, voce verdiana –. Prima di essere insegnante di canto devi essere insegnante di vita. Ho avuto due figli, Davide, che allattavo in camerino, e Desirè: non avrei potuto farlo se mio marito non avesse optato per un posto di lavoro più tranquillo per poter venire con me». «Ho ricevuto molto dai ‘grandi’ che sono stati giusti nel valutare il mio talento, dato che io non avevo le spalle coperte. Ora io voglio fare altrettanto per i giovani. Sempre più i piccoli teatri chiudono: molti cantanti si bruciano dopo un paio d’anni perché non hanno potuto fare la gavetta e oggi c’è la cultura dell’usa e getta. Dare loro la possibilità di esibirsi, e magari farsi scoprire, in questo salotto, mettendo alla prova l’autocontrollo sulle emozioni, sul fiato è un passo importante per loro e anche per me, perché questo sarà il mio modo di lasciare il segno».