Badante “Dea“ uccisa, "indizi gravi e univoci"

Pubblicate le motivazioni con cui la Cassazione a febbraio respinse il ricorso dell’ex assessore condannato

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"Il ricorso è inammissibile perché generico, assertivo e reiterativo di argomentazioni proposte nel giudizio di merito che sono state esaminate con motivazione che non viene specificamente criticata dal ricorso". Così scrive la Corte di Cassazione nella sentenza, della quale sono state ora pubblicate le motivazioni, pronunciata lo scorso 18 febbraio chiudendo il terzo grado di giudizio nei confronti di Franco Vignati, l’ex assessore di Chignolo Po condannato a 25 anni per l’omicidio e l’occultamento del cadavere di Lavdije Kruja detta “Dea“ (foto), 40enne albanese di Miradolo Terme trovata morta nel Po pochi giorni dopo la scomparsa del 30 maggio 2016. Vignati, che aveva avuto una relazione con la donna, si è sempre dichiarato non colpevole, ma in primo grado era stato condannato all’ergastolo, ridotto in Appello a 25 anni con l’esclusione della premeditazione. L’omicidio era avvenuto a Orio Litta. Nelle 17 pagine della sentenza della Suprema Corte si ripercorrono tutti i passaggi emersi nel processo di primo grado in Corte d’Assise di Milano (sentenza del 10 dicembre 2018) e poi in Corte d’appello (sentenza del 20 luglio 2020).

"Con concorde valutazione di entrambi i giudici di merito - scrive la Cassazione - è stata affermata la responsabilità di Franco Vignati perché gli indizi acquisiti nel corso del giudizio sono connotati da gravità, capacità dimostrativa, univocità e concordanza - sì da risultare impermeabili al dubbio ragionevole - e cementati dalla prova logica, tanto che, per la loro forza argomentativa, sono stati ritenuti nel complesso insuperabili". Per la difesa solo indizi, ma per la Cassazione tutto conferma la sua colpevolezza, dagli spostamenti documentati con le telecamere di San Colombano e dalle celle telefoniche agganciate, fino alla testimonianza dell’ex moglie sulla pistola.

Stefano Zanette