
Bruno Gulotta (rimasto ucciso nell'attentato di Barcellona) e la compagna Martina Sacchi
Legnano (Milano), 6 agosto 2019 - Due anni. Un respiro rispetto a una vita. Nulla a confronto con l’immobile fissità della morte. Una eternità per una giovane donna che si è vista morire sotto gli occhi il proprio uomo e deve vivere e lottare per due bambini. Martina Sacchi era la compagna di Bruno Gulotta, 35 anni, informatico di Legnano. Bruno fu una delle tre vittime italiane (le altre due erano state Luca Russo e Carmen Lopardo) della strage sulla Rambla di Barcellona, il 17 agosto del 2017, quando un furgone spinto dalla follia terroristica falciò sedici persone.
Bruno e Martina avevano accanto Alessandro, all’epoca tre anni, e Aria, nel passeggino che il padre riuscì a spingere via prima che venisse falciato dal furgone. L’ultimo atto d’amore: la sua vita per quella della sua bambina. Pratiche nei meandri della burocrazia. Carte. Denaro che non aiuta a dimenticare ma a vivere sì. Per un volta la burocrazia non ha aggiunto alla quotidianità del dolore il tormento delle lungaggini. Assistita dagli avvocati Michela Cerini e Cesare Peroni, incaricati dalla Fondazione Gulotta, Martina ha ottenuto con un decreto del ministero dell’Interno del marzo di quest’anno una elargizione di 180mila euro, da cui sono stati detratti i 135.756 euro versati dal governo spagnolo: quindi 44.264 euro.
O meglio l’elargizione è andata ai figli. Dopo un ricorso presentato nel luglio del 2018 dai due legali, a gennaio di quest’anno il giudice tutelare ha autorizzato la giovane vedova a ricevere questa forma di provvisionale per conto di Alessandro e Aria. Alla Procura di Roma è aperto un fascicolo. Se l’autorità giudiziaria riconoscerà (come non potrà che riconoscere) definitivamente la natura terroristica di quanto accaduto quella tremenda sera a Barcellona, Martina Sacchi riceverà il saldo fra i 200mila euro previsti dal Fondo per le vittime del terrorismo e i 180.000 euro versati, complessivamente, dalle autorità italiane e da quelle iberiche. «Per Martina – dice l’avvocato Michela Cerini – lo Stato non è stato assente, non l’ha abbandonata.
Le lungaggini sono insite in queste cose, qui si era davanti a un evento terribile, eclatante. Martina avrebbe anche potuto chiedere che fosse riconosciuto il danno biologico per sé e per entrambi i figli. Il ministero è stato disponibile e ha sollecitato la nostra assistita a sottoporre se stessa e i due bambini alle necessarie visite medico legali. Martina ha però preferito rinunciare. La capisco. Sarebbe stato un iter molto lungo e faticoso. Per Martina avrebbe significato rivivere il trauma di quei momenti e soprattutto farlo rivivere ai bambini. Lo scorso inverno mi ha detto una cosa: ‘Non mi sento di mettermi su questa strada. Non saprei cosa dovrei affrontare, a cosa andrei incontro. Sto ricominciando a vivere. In questo momento la mia vita deve essere finalizzata ai figli’. Lavora in un centro commerciale. È stata molto aiutata dalla Fondazione Gulotta, con il presidente Roberto Buonanno, per la nuova casa, dove tutto è nuovo, senza ricordi. È giusto così».