Crisi Panalpina, a rischio 93 posti di lavoro

La nuova proprietà Dsv vorrebbe chiudere la sede di Cantalupo acquisendo i clienti e poi trattando singolarmente con i dipendenti

La preoccupazione dei sindacati sulla questione Panalpina

La preoccupazione dei sindacati sulla questione Panalpina

Cerro Maggiore (Milano), 14 novembre 2019 - Nello sport come nella vita, spesso risulta vincente giocare d’anticipo. Soprattutto se all’orizzonte si intravedono nuvole nere che non fanno presagire nulla di buono. E così i rappresentanti sindacali di Panalpina lanciano l’allarme in anticipo, con la speranza di essere ascoltati dai vertici di chi questa azienda ha intenzione di smantellarla pezzo per pezzo. Non qualche semplice sospetto, ma cambiamenti radicali annunciati durante l’incontro con i rappresentanti dei lavoratori solo pochi giorni fa. L’attuale proprietà, ovvero il colosso danese Dvs che ha acquisito Panalpina non più tardi di soli sette mesi fa per una cifra record di oltre 4 miliardi di euro, ha infatti annunciato l’intenzione di mettere l’azienda in liquidazione. 

La Panalpina di Cerro Maggiore
La Panalpina di Cerro Maggiore

Dismettendo quindi tutte le attività? «In realtà no - sottolinea Jorge Torre, segretario generale della Cgil Ticino Olona -, visto che la proprietà ha comunicato di voler recuperare clienti e personale attuali di Panalpina. In sostanza l’idea, peraltro neppure nascosta, dei vertici di Dsv è quella di approfittare del bacino di clienti che l’azienda di logistica si è creata nei propri 80 anni di storia e lasciare a casa i dipendenti avviando poi con ognuno di loro una contrattazione personale. Si tratterebbe di un vergognoso gioco sulla pelle dei lavoratori». Un gioco nel quale sarebbero coinvolti ben 155 dipendenti, di cui 93 solo nella sede di Cantalupo che è quella più grande e importante di Panalpina Italia.

«Senza contare i circa quaranta lavoratori coinvolti nell’indotto di Panalpina - fanno sapere Nino Baudo e Sara Bazzocchi delle Rsa di Panalpina -. Di loro non si è ancora parlato, ma è probabile che in caso di chiusura dell’azienda possano esserci ripercussioni pesanti anche per loro». Nulla è ancora stato ufficializzato e proprio per questo il sindacato intende intervenire il prima possibile. «Non si può creare un precedente così pericoloso - affermano Jorge Torre, Juri Sbrana e Nadia Ferracini della Cgil -, accettando un comportamento così anomalo e sbagliato si farebbe capire che tutte le multinazionali possono venire in Italia, acquisire aziende e farne uno spezzatino. Quello che noi chiediamo è soltanto il rispetto delle regole che vigono in Italia. Siamo apertissimi a un confronto con la proprietà, non ci sottraiamo a nessun tipo di dialogo».

Una chiusura così radicale dello stabilimento di Cerro Maggiore - prima del suo insediamento, nel 2008, il polo logistico suscitò moltissime proteste da parte della cittadinanza, che temeva il passaggio di numerosi camion all’interno di capoluogo e frazione, passaggio che poi mai si è verificato - contravverrebbe alla normativa italiana e per questo il sindacato vorrebbe sostituire tutto con la cessione di ramo d’azienda. Anche perché poi la stessa proprietà, ovvero Dsv, rileverebbe clienti, lavorazioni e anche una parte di dipendenti. A proposito di clienti, l’operazione di acquisizione da parte dei danesi rispetto a Panalpina risale ad aprile: difficile pensare che non fosse finalizzata a una scalata per poi rilevare solo il portfolio dell’azienda. Anche perché i clienti dell’azienda di logistica, che ha sedi in tutto il mondo, sono di tutto rispetto: Burberry, Armani, Gucci, Roveda, Bulgari, Tally Weijl. «Molti di questi clienti - affermano gli esponenti delle Rsa - scelgono Panalpina proprio perché ha sede in questo territorio. Se l’azienda venisse chiusa cosa succederebbe?».

Domani sindacati e lavoratori si riuniranno in assemblea per capire quali potrebbero essere le evoluzioni della situazione attuale.