Covid, l'appello: "Mio padre è in gravi condizioni, non separateci dai nostri affetti"

Massimo Rogora ai medici delle Terapie intensive dove sono i ricoverati i pazienti colpiti dal virus. "Inaccettabile che non si possa restare in contatto per giorni col proprio genitore"

Migration

di Ivan Albarelli

Venerdì intorno a mezzogiorno in migliaia hanno letto il suo accorato e disperato appello sulla sua pagina Facebook: "Voglio vedere mio papà, ricoverato in condizioni critiche all’ospedale di Legnano con il Covid. È appeso a un filo e non risponde più a niente. Qualcuno mi aiuti affinché io possa vederlo...". Max Rogora, assessore alla Sicurezza a Busto Arsizio, e con lui tutta la sua famiglia che vive a Legnano, sta vivendo dalla fine di ottobre un incubo: tutti contagiati dal Covid, ma quel che ne ha subito le conseguenze peggiori è stato il padre.

L’uomo, 86 anni, il 29 ottobre, dopo un progressivo peggioramento delle condizioni – a cominciare dai livelli sempre più bassi di ossigeno nel sangue e quindi con la capacità di respirare autonomamente compromessa – viene ricoverato nel reparto Covid dell’ospedale di via Giovanni Paolo II. Da quel giorno, per tutta la famiglia, inizia un “calvario nel calvario“. Riuscire ad avere informazioni sulle sue condizioni di salute diventa un’impresa, pensare di poterlo vedere in faccia con una videochiamata qualcosa di quasi utopistico. Per Rogora – anch’egli contagiato dal Covid benché guarito – e per la mamma e moglie Floriana (che ha subito la stessa sorte) subentra la disperazione. "Non accuso nessuno e tantomeno l’ospedale di Legnano – si sfoga Rogora – anzi, ho incontrato sia il direttore sanitario Vignati sia il direttore generale Odinolfi: sono stati gentilissimi. Ma è il sistema in sé che è sbagliato: è inaccettabile che un figlio, un marito, una moglie non possano non solo non vedere da vicino un proprio caro, ma nemmeno parlargli. Chi viene ricoverato nei reparti Covid è come se sparisse, e per noi che siamo all’esterno crescono un’angoscia e una disperazione che non si possono descrivere – si lamenta Rogora, con la voce quasi rotta dal pianto –. Cosa ci vuole a capire che per chi, come mio padre, è attaccato a un filo esile, sentire la voce della moglie o del figlio, vederli in video può avere degli effetti addirittura terapeutici? Perché gli ospedali non si organizzano una volta per tutte con un servizio di tablet e telefonini?". Queste considerazioni Rogora le ha condivise su Facebook, scatenando un diluvio di reazioni d’approvazione – più di 2.200 like e oltre tremila condivisioni ieri sera. Centinaia le persone che come lui e la sua famiglia hanno vissuto questo dramma.

Alla fine, per avere qualche informazione sulle condizioni del padre intubato, e scambiare con lui qualche parola, Rogora deve ringraziare il buon cuore di un medico e di un infermiere. Ma tra la prima e la seconda chiamata sono trascorsi cinque interminabili giorni di silenzio... Nel vicino ospedale di Busto Arsizio inizierà nei prossimi giorni il servizio di videochiamate fra degenti nei reparti Covid e famigliari. Anche a Legnano doveva partire, ma a Rogora è stato risposto che ci sono al momento dei problemi, a cominciare dalla mancanza di personale che se ne possa fare carico.