
L'inceneritore di Valmadrera
Valmadrera (Lecco), 2 dicembre 2018 - I fumi del termovalorizzatore di Valmadrera piovono sul Barro, Galbiate, Civate e Valmadrera stessa, ma anche su Annone Brianza, Dolzago e parte degli altri paesi dell’Oggionese, un territorio in cui vivono circa 30mila persone, che quindi respirano quotidianamente le esalazioni prodotte dall’inceneritore di Silea, la Spa pubblica per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti in provincia di Lecco.
A tracciare il perimetro della zona dove ricadono i gas e le sostanze potenzialmente nocivi sono stati studiosi indipendenti reclutati dagli attivisti del Coordinamento Lecchese Rifiuti Zero, che non si fidano di quelli invece pagati dai vertici della Spa dell’immondizia per la realizzazione di uno studio epidemiologico che verrà presentato nei prossimi giorni. E infatti le mappe realizzati dagli esperti dei due team non coincidono affatto. I confini della «red zone» disegnati dai ricercatori reclutati dagli ambientalisti sono molto più estesi di quelle dei colleghi assoldati dai maggiorenti di Silea, secondo i quali al contrario almeno coloro che abitano nell’Oggionese non avrebbero assolutamente nulla da temere, mentre concordano tutti che Lecco e i paesi che si affacciano sul lago di Garlate non sono nemmeno lambiti dai fumi dell’impianto di Valmadrera. La complessa analisi, basata su rilievi meteo, cartine sulla velocità e la direzione del vento e altri parametri scientifici, è stata presentata l’altra sera durante un incontro pubblico a Lecco in Palazzo Falk. «Uno studio epidemiologico basato su mappe di ricadute degli inquinanti imprecise o errate potrebbe portare a risultati non significativi o falsati - spiega e avverte Barbara Nasatti, presidente del Coordinamento -. La qualità delle scelte degli amministratori dipende anche dalla conoscenza e dalla consapevolezza su quanto si andrà a decidere: altrimenti si rischia di sprecare tempo e danneggiare i cittadini che si rappresentano».
In ballo infatti ci sono sia il progetto del teleriscaldamento, sfruttando proprio il calore prodotto dalla combustione dei rifiuti, sia il futuro dello stesso inceneritore. «Ormai è da tempo che ci interessiamo al forno inceneritore, specialmente da quando è stato deciso di farlo funzionare al massimo carico termico e quindi di bruciarci più rifiuti possibile – aggiunge il portavoce Gianni Gerosa -. Ciò che ci preoccupa di più è la mancanza di trasparenza nelle procedure, per questo abbiamo deciso di commissionare e realizzare uno studio indipendente».