Sparò e uccise il vicino di casa Assolta l’anziana paranoica

La Corte d’Assise ha riconosciuto Silvana Erzembergher incapace di intendere e volere

Il finale era prevedibile: assolta perché totalmente incapace di intendere e di volere al momento dell’omicidio. Silvana Erzembergher,72 anni, dovrà però restare per 5 anni in una Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems), con tutta probabilità a Castiglione delle Stiviere (Mantova) dove già si trova e la stanno curando.

La sentenza della Corte d’assise presieduta dal giudice Giovanni Petillo (a latere Alberto Longobardi) è arrivata dopo meno di mezz’ora di camera di consiglio. Alla luce delle consulenze psichiatriche concordanti sul disturbo paranoide, anche il pm Guido Schininà ne aveva chiesto l’assoluzione e 10 anni di misura di sicurezza, con l’aggravante, nn riconosciuta dalla Corte, dei futili motivi. Che per il difensore, l’avvocato Andrea Pezzotta, non andava considerata, perché Erzembergher non sarebbe stata in grado di discernere la gravità della sua "falsa convinzione di essere perseguitata" dai due vicini di casa, marito e moglie. Pezzotta ha fatto presente la richiesta dei familiari della sua assistita, di esprimere solidarietà a Monica Leoni e Emanuele Casati, moglie e figlio della vittima. Il delitto il 28 aprile 2022.

Erzembergher, ambulante in pensione, sparò alle spalle al vicino Luigi Casati, 62 anni, mentre era in strada con il cagnolino. Poi rivolse l’arma contro la moglie Monica, 57 anni, accorsa dal marito. Tutta la sequenza era stata ripresa da un residente con il cellulare. I carabinieri trovarono la 72enne in casa con la pistola, detenuta per uso sportivo.

Un anno prima la moglie di Casati aveva denunciato la Erzembergher per un’aggressione sotto casa, con un bastone, ma i carabinieri di Treviglio non erano risaliti alla pensionata. La donna era convinta che la coppia di vicini la perseguitasse, suonandole il campanello di notte. Il disturbo delirante è emerso durante il processo: diagnosi cui erano giunti i consulenti del pm e della difesa e su cui aveva concordato la criminologa Cristina Colombo, chiamata dalle parti civili. Secondo lei, però, la decisione di sparare non era necessariamente collegata con la patologia: il disturbo delirante non comprometterebbe totalmente la libertà di scelta. Francesco Donadoni