
Alberto Ognania, nel riquadro, fu trovato morto dopo tre settimane di ricerche
Perledo (Lecco) - Il braccio disteso, la mano destra protesa e il telefonino a poco più di mezzo metro di distanza. Non si sa se quello smartphone avrebbe potuto salvarlo, di certo quando i soccorritori hanno trovato il corpo dopo tre settimane di estenuanti ricerche restava ben poco da fare. Resta l’angoscia del dubbio.
E resta una legge, il decreto legislativo 196 del 30 giugno 2003 sulla protezione dei dati personali, la cosiddetta legge sulla privacy, che ha impedito di utilizzare i tabulati del cellulare per provare a cercare, e forse salvare, Alberto Ongania. Il cuoco di 53 anni di Perledo (Lecco) venne trovato privo di vita in fondo a un dirupo il 13 dicembre 2022, dopo che di lui si erano perse le tracce il 16 novembre, durante una delle sue lunghe passeggiate in zona. Rimane però anche la volontà di Renato, fratello di Alberto, di modificare quella norma.
“Un abuso di legalità, la tutela della vita subalterna alla privacy", sono le parole di accusa di Renato, 48 anni, uno dei fratelli di Alberto, che ieri è stato sentito dai parlamentari della Commissione Giustizia alla Camera proprio per cambiare la legge e consentire di acquisire i dati relativi al traffico telefonico e telematico almeno in caso di emergenza. "Mio fratello Alberto si era allontanato da casa per una passeggiata – racconta Renato –. La sera, mia madre, 79enne, mi ha chiamato per avvisarmi del suo mancato rientro. Ho subito sporto denuncia di scomparsa e immediatamente sono stati avviati i soccorsi. Alberto aveva con sé il cellulare, è stato visto lungo la strada principale parlare al telefono. Si sono mossi i carabinieri, è stata utilizzata una motovedetta per scandagliare la riva del lago, è stato impiegato un elicottero, c’era un drone, sono intervenuti gli scalatori e soccorritori altamente specializzati. Ho comunicato il numero di telefono per consentire l’individuazione del telefonino mediante l’ultima cella agganciata".
In pochi istanti è stata localizzata, ma con essa un’area di 70 chilometri quadrati di territorio: tanti, un’enormità se si cerca una persona dispersa in difficoltà. Per questioni di privacy non è stato invece possibile tracciare il percorso svolto da Alberto attraverso le celle agganciate in precedenza e nemmeno rintracciare le persone con cui aveva parlato per chiedere se magari avesse comunicato loro dove stesse andando. Per farlo, il magistrato di turno avrebbe dovuto formulare un’ipotesi di reato per avviare un’indagine, ma per la Procura non ve ne erano. "Mettetevi nei panni di un fratello che sta cercando di salvare la vita a suo fratello – continua Renato –. Ci siamo trovati sopraffatti da un paradigma tecnocratico, un mostro contro cui nessuno ha potuto nulla. È stato paradossalmente un altro abuso dei dati: averli, ma non poterli consultare. La privacy in questa occasione poteva, anzi, doveva essere violata".
Oltre che per la privacy, Alberto Ongania forse non si è salvato neppure per la burocrazia: sarebbe bastato avviare un procedimento con modello 44, cioè per fatti contro ignoti, invece che con modulo 45, per fatti non costituenti reato. Ma quando il suo caso è stato riclassificato da modulo 45 a 44, il corpo del cuoco d Perledo, ormai scempiato dagli animali selvatici, era già stato trovato da qualche ora. Ventisette interminabili giorni dopo la denuncia della scomparsa.